In Drive un nuovo eroe senza nome
Di Dario ArpaioMagnifico Drive, del quarantenne danese Nicolas Winding Refn. Una ventata d’aria pulita in questo panorama cinematografico ridondante remake, prequel, sequel insieme con quant’altro di stucchevole è e sarà in circolazione a breve.
Refn ha vero talento, da grande cineasta, anche se questo film è la solo la riprova del suo recente approdo al grande schermo. Pusher, Valhalla Rising e soprattutto Bronson (sì, proprio quello che ha circolato da noi così poco!), sono i suoi primi titoli. Drive riceve la palma d’Oro per la regia a Cannes 2011. Raramente si ha modo di scoprire e premiare un regista così fine. Tutta unanime anche la critica, senza dubbi. La sua mise en scène di Drive riecheggia pure dell’ossequio verso i più grandi: dal miglior Sergio Leone, a Michael Mann, con in più un saluto a pizzico verso Quentin Tarantino. Refn utilizza meno pulp e aggiunge una vena più intimista, anche se cruda, amara così come il nostro tempo malato richiama.
Ryan Gosling è stato scelto al posto del bravo Hugh Jackman per il ruolo del protagonista senza nome. Ebbene, Gosling è risultato semplicemente perfetto nella sua interpretazione, impassibile maschera di cavaliere solitario, autentico eroe negativo, sempre in fuga verso un orizzonte mai raggiunto. Il suo volto pare non esprimere alcun sentimento, solo freddezza e calcolo, come vuole il suo mestiere di stuntman, di pilota assegnato alle scene più spericolate. Come le stesse che vive nella realtà, in presa diretta, per qualche malavitoso durante le sue rapine. Non gli interessa il denaro. La sua casa, la sua vera e sola dimensione è l’abitacolo di un’auto. Le sue guide notturne lungo le strade di Los Angeles richiamano un sublime accostamento alla New York di De Niro in Taxi Driver. Non è emulazione, semmai omaggio, laddove Refn si esalta nella ‘sua’ visione personale, con il suo occhio che perfora la solitudine del driver senza nome, offrendocelo com’è, asciuttamente malinconico o spietato, oppure spaurito, ma fermo nel suo proposito di protezione verso una donna e il di lei figlio. Fino all’estremo sacrificio, per lui, disilluso, costretto a non potere vivere una vita normale, senza un passato, tanto meno un futuro perduto nello spazio di un semaforo.
Alcune sequenze sono da antologia, come quella della resa dei conti con il cattivo di turno. Piccoli scarti temporali che mutano in un fermo immagine la vita dell’eroe solitario, che può solo tornare al volante, alla guida di un’auto, quello è il suo mondo. Quello di fuori gli è forse precluso per sempre.
Dario Arpaio
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