Riflessioni nel Giardino di Limoni
Di Dario Arpaio
Sabato 3 gennaio il quotidiano La Stampa ha dedicato le pagine 22 e 23 interamente agli alberi, quelli italiani un po’ speciali, dal platano sotto il quale Napoleone avrebbe fatto un sonnellino dopo la battaglia di Marengo, fino all’ulivo di Luras che vanta la bellezza di circa 4000 anni di vita. Le notizie sono frutto di un censimento di tutte le piante per così dire ‘storiche’ del nostro Paese.
Inoltre, a margine, appariva anche un trafiletto che accennava alla moda nascente del ‘tree-hugging’, ovvero, abbracciare gli alberi fa bene al corpo e allo spirito. Una specie di nuova disciplina che se praticata anche da Sting, Sean Penn, Woody Allen fa notizia.
Nel mio piccolo lo facevo a modo mio nel periodo in cui disponevo di una baita in montagna, alla fine degli anni ’70 e ci andavo spesso da solo. A me, però, davano del deficiente… Ma io lo facevo con naturalezza. Abbracciare un albero è sentirlo, è come toccare la vita. Per chi vuole viverla, è un’esperienza veramente appagante nella sua semplicità. Loro sono tutti diversi, hanno tutti un loro linguaggio, una loro personalità.
Come viene detto e urlato ne Il giardino di limoni, film del regista israeliano Eran Rikliss, ancora sugli schermi da Natale e quanto mai attuale in questi giorni di guerra. La trama è nota: il ministro della difesa israeliano va ad abitare proprio sulla linea del confine cisgiordano (chissà perché poi…) e la sua bella casa si affaccia su di un sontuoso giardino di limoni. Va da sé che il Mossad teme la possibilità attacchi terroristici attraverso quegli alberi e decide di farli abbattere per meglio controllare il territorio. I limoni appartengono da sempre a una donna di etnia araba, intensamente interpretata da Hiam Abbass (a lato in una scena del film). Che può fare una donna araba, per giunta vedova, da sola contro Israele e, in parte, contro i suoi stessi compaesani musulmani, sempre restii a lasciare agire liberamente una donna. Lei decide di far causa al ministro. Non si può cancellare la storia del giardino degli antenati, non si può! Nessuno è a favore della donna, la sua vana battaglia legale viene tanto strumentalizzata dai palestinesi (non tutti), quanto osteggiata dagli israeliani (non tutti). La donna può poco, resta lì ad osservare i suoi alberi di là della finestra, senza poterli curare, senza poterne ricevere i frutti succosi che costituiscono la sua unica fonte di sostentamento. Chi può aiutarla? I figli, si sa, appena possono si defilano. Così è la vita. Unica simpatia le viene indirettamente dalla moglie del ministro. Sola anche lei di fronte al muro. Le due donne si intravedono, si comprendono come solo la natura femminina a volte concede e come spesso ci si dimentica di ascoltare. Avrebbero molto da potersi scambiare, ma tra palestinesi ed ebrei non si può, e poi ci si mettono di mezzo i fondamentalismi capaci solo di stroncare sul nascere ogni possibile via d’uscita, traducendola sempre in tragedia. Come sta ccadendo ancora una volta davanti ai nostri occhi in questi giorni. Meglio sarebbe ascoltarli gli alberi, loro non stanno sotto alcuna bandiera. Così come certi titoli di un cinema nuovo, da Cous Cous, al Giardino di limoni, a I Confini del Paradiso, a Meduse, a La Banda, offrono un caleidoscopio che rolla sul Mediterraneo ed è capace di soffiare nuova poesia sullo schermo.
Dario Arpaio
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