Il Treno per il Darjeeling
Di Dario ArpaioWes Anderson, texano classe ’69 è certamente uno dei migliori giovani registi americani. Originale, raffinato, surreale, a volte lascia lo spettatore perplesso come di fronte a un’opera provocatoriamente incompiuta, sebbene di gran fascino, come già avvenuto con il bellissimo I Tenenbaum del 2001. Anche questo viaggio de Il Treno per il Darjeeling rivela situazioni familiari buffe seppure scaturite dal dolore più profondo. I dialoghi asciutti, serrati fanno ridere pur svelando quel malessere dimenticato proprio mentre tende a insinuarsi sottile dentro di noi per corroderci l’animo, ma al quale ci si può ancora opporre in un impulso amorevole riunito a una speranza di vita, proprio quando questa sembra venir meno. Wes Anderson può risultare anche scostante e provocatorio, ma senza dubbio è geniale. Nulla è lasciato al caso in ogni inquadratura che racchiude nell’immagine pure un’attenzione maniacale per gli oggetti ai quali affidiamo il nostro passato, riposti in un almanacco dei ricordi, quello che sfogliamo a volte solo per crogiolarci in qualche noia triste. Anderson sembra voler riuscire a disfarsene e allora buttiamole queste valigione Louis Vittuon, che accompagnano i protagonisti del film, così come sono, irripetibili, perfette, pesantemente inutili nel nostro quotidiano che vorrebbe invece inseguire solo una più lieve, quieta e serena sopravvivenza.
Tre fratelli, dopo la morte di un padre, forse simile a quello dei Tenenbaum, si ritrovano, a un anno di distanza, coinvolti dal primogenito in un poco ortodosso viaggio spirituale a tappe lungo il percorso del treno che attraversa il distretto del Darjeeling, nel Bengala occidentale. Anderson dice di amare molto i treni e le barche. Di fatto, ha girato un film di mare, lo stralunato Le avventure Acquatiche di Steve Zissou (2004), e poi la storia di cui vi stiamo scrivendo. All’inizio del film ritroviamo, in un cameo prezioso, proprio Bill Murray, già nei panni di Zissou, che tenta disperatamente di raggiungere il suo treno, ma questo appartiene ormai a un’altra storia, quella dei tre fratelli verso Darjeeling. Owen Wilson è il maggiore, apparentemente il più forte nel mascherare la sua fragilità; Adrien Brody, il secondo, anche lui in fuga da se stesso e Jason Schwartzman il più piccolo e infelicemente arrapato dei tre (Schwartzman è anche coautore della sceneggiatura con lo stesso Anderson). Si affrontano l’uno contro l’altro nel coloratissimo treno arancione e azzurro, sbevazzando sciroppo per la tosse e trangugiando antidolorifici in quantità. Infine riescono anche a incontrare fugacemente la loro madre, Angelica Huston, fuggita dal marito e dai figli con il pretesto di reinventarsi suora sulle cime himalayane del Darjeeling. I tre fratelli litigano in continuazione per poi ritrovarsi, alla fine, uniti e felici in questo nostro universo tragicomico così ben affrescato dalla mano di Anderson.
Un plauso particolare va alla colonna sonora, ma soprattutto al corto che funge da prologo al film dove il più giovane dei tre, in piena crisi esistenziale, va a nascondersi dal mondo nel lussuoso Hotel Chevalier a Parigi. Improvvisamente riceve la visita della sua amante a sconvolgergli ancora la vita. Nathalie Portman è bella, perfetta e cattiva nel suo ruolo come mai le è stato concesso finora da altri registi.
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