Tropa de Elite, recensione

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Tropa de EliteTROPA DE ELITE
2007, Brasile, colore, 118 minuti
Regia: José Padilha

1997. Pochi mesi prima dell’arrivo del Papa in visita a Rio de Janeiro, il capitano Nascimento del BOPE (il famigerato battaglione per le operazioni speciali di polizia) viene incaricato di rendere sicuro il quartiere dove il sommo pontefice intende dormire.

Assillato da problemi famigliari (la moglie, vista l’imminente nascita del loro primogenito, gli chiede di dimettersi da un lavoro così pericoloso) e sempre più sotto stress per i tremendi rischi che corre ogni notte, Nascimento intende cercare un uomo che sia in possesso dei giusti requisiti per sostituirlo alla guida delle operazioni.

Dopo un lungo periodo di addestramento la scelta si restringe a due nuovi arrivati, entrambi idealisti: Neto ha il cuore ma sembra mancare dell’intelligenza e dell’acume tattico necessari, mentre Matias è in possesso di intuizioni superiori e di un alto codice morale ma potrebbe non avere la passione necessaria.

Stretto fra trafficanti di droga meglio armati e più numerosi e forze di polizia sempre più corrotte, bersagliato da costanti critiche da parte di media e opinione pubblica, il BOPE sostiene una lotta quasi impossibile, con solo 100 uomini a disposizione…

Sono tanti i meriti di Tropa de Elite ma credo che quello principale sia il riuscire a far discutere. Far pensare e discutere. Suscitare la riflessione anche e soprattutto attraverso un grande clamore, cercare di avvicinare le masse veicolando concetti e tematiche complessi attraverso un appeal estetico di sicura presa e comunque aderente alla realtà.

Il film prende spunto da un libro scritto dal sociologo ed ex ministro della pubblica sicurezza Luiz Eduardo Soares, coadiuvato da due reclute del Bope, un testo che dipinge la terribile realtà delle favelas e della società brasiliana intera.
La situazione degenera in una continua spirale di violenza dove allo stradominio militare dei trafficanti di droga, che amministrano le favelas come piccole roccaforti militari, corrisponde il lassismo e la corruzione delle forze di polizia normali: 500 dollari al mese non sono certo sufficienti per spingere un uomo qualsiasi a rischiare la vita in uno di quei quartieri, specie quando si può guadagnare dieci volte tanto chiudendo un occhio e permettendo certi affari e maneggi.
Al terzo polo di questo cane triangolare che si mangia la coda vi sono gli intellettuali, gli studenti delle università e i loro professori, tanto bravi a citare filosofi e sociologi e a lamentarsi della durezza della polizia quanto a comprare azioni di mafia sotto forma di droghe ricreative commerciate dai cartelli locali.

La sceneggiatura, pur chiaramente sbilanciata dalla parte dei protagonisti, riesce a giocare con ottimo brio fra i tre personaggi principali: il sempre più stressato Nascimento che proprio mentre gli sta nascendo un figlio cerca un altro “figlio” cui lasciare il suo ruolo in eredità; il riflessivo Matias, in grado di usare la mente e capace di passare dalla comprensione dei testi studiati all’azione in mezzo alle strade e il buono ma impetuoso Neto, dotato di ottima mira, grande cuore e scarso acume.

In molte sezioni la trama segue lo sviluppo consueto di questo tipo di film, dallo scontro con la burocrazia ai problemi che il lavoro di poliziotto crea in seno alla famiglia, per poi brillare di luce intensa ogni volta che la mdp decide di scendere nelle favelas.
La svolta, prevedibile e anche in questo caso condotta secondo le regole del gioco, avviene nella seconda parte del film, che mette in scena l’allenamento delle nuove reclute nel Bope, un vero e proprio trip di sadismo e durezza in grado di trasformare normali poliziotti in autentiche macchine di morte.
Si raggiungono punte di vera e propria mistica e suppongo sia difficile, per spettatori più “deboli”, non subire l’ovvio e banale fascino di queste divise nere, di questi allenamenti che forgiano cuore, fisico e spirito ecc ecc.

Ottime scelte di cast e una colonna sonora come non si sentiva da tempo aggiungono valore a un film controverso come pochi, mentre moltissimi scambi di battute nei dialoghi dovrebbero andare a finire nei manuali come esempio di secchezza, concisione e naturalezza.
Ritmo quasi sempre elevato, camera a mano un po’ troppo traballante, spesso anche quando non richiesto (vedi durante i dialoghi), montaggio pesante e sgradevole, dovuto a una eccessiva revisione in fase di post produzione.

L’Orso d’oro a Berlino giunge a coronare un’opera che di sicuro deforma la realtà, ma non certo di più di quanto facciano i suoi detrattori.
Sono convinto che suggerire che la violenza è l’unica via corretta per “dialogare” con certi criminali sia sbagliato.
È però vero che a fronte di un sostanziale fallimento sia delle politiche morbide che del carcere durissimo l’unica via attualmente in grado di condurre, dati alla mano, a buoni risultati nella guerra contro il crimine è, come al solito, una soluzione intermedia, ovvero una costante comprensione delle meccaniche e una forte presenza intimidatrice sul territorio.

Presenza e comprensione sono due aspetti che latitano in maniera tragica nell’élite intellettuale che dovrebbe analizzare e prendere decisioni e questa latitanza, unita a corruzione e incompetenza, provoca uno stato di cose che porta in seguito, come è accaduto in Brasile, all’esaltazione di personaggi come Nascimento.
Film da vedere e rivedere, sia come “spettacolo” sia come spunto per una continua messa in discussione dei propri convincimenti.

2 commenti su “Tropa de Elite, recensione”
  1. guglielmo ha detto:

    l’unico aggettivo adatto a questa recensione è “equilibrata”. Complimenti perché rimanere quando si affrontano certi argomenti la vera difficoltà è rimanere in equilibrio.

    a presto!

  2. Elvezio Sciallis ha detto:

    Beh, che dire, ti ringrazio per il complimento!


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