Baarìa. Spunti di riflessione
Di Dario ArpaioI ricordi ce li portiamo dentro, qualche volta a nostra insaputa. Riaffiorano casualmente, quando meno ce lo aspettiamo; magari per una madeleine inzuppata nel tè, o solo per una fragranza nell’aria. Risulta poi difficile volerli concertare in un continuum narrativo, senza nessuno escludere, affinché ogni attimo vissuto in ogni volto si riallacci a un altro e un altro ancora, come i fotogrammi di un film, di un lungometraggio epico, che dia il senso della nostra piccola storia vissuta nella Grande.
Ogniqualvolta Giuseppe Tornatore è tornato nella sua Bagheria, per sua stessa ammissione, ha voluto sempre evitare di andare nella via centrale per non dover scoprire, con rammarico, che il tale cinema fosse scomparso, soppiantato magari da un anonimo supermercato o altro. Anche il solito bar degli amici potrebbe non esserci stato più; l’assenza di certi luoghi può arrivare a pesare più del dovuto.
Così, per non violentare il ricordo di una vita, Tornatore ha preferito incorrere in qualche critica da parte dei suoi cittadini che vestivano di snobismo le sue assenze. Alla fine ci ha ripensato e ha voluto raccontare la storia di tutto il paese, di tutta Bagheria, anzi la Baarìa antica, attraverso gli occhi di un altro Peppino (Francesco Scianna), il quale sopravvive alla fame fino a diventare un dirigente di partito, di quel glorioso PCI che tanta parte ha avuto nella crescita politica, culturale e sociale della Sicilia, a costo di tante, tante vittime.
Tornatore riscrive la sua storia in quella di Baarìa e ciò che non gli è stato possibile ritrovare oggi dei mattoni, delle pietre di un tempo andato, se lo è fatto puntualmente ricostruire in Tunisia, aggiungendo i volti delle tante splendide comparse (circa 20.000) ad accompagnare i 60 attori, per completare un mosaico che ha il sapore della nostra storia, dagli anni ‘30 fin quasi agli anni ’80.
Il film che ne è risultato, a tratti commuove davvero, concentrando in sé i caratteri una poesia talvolta minimalista attraverso il percorso delle immagini di un tempo che non è più, nel bene e nel (tanto) male. La ricostruzione si nutre via via delle paure ancestrali di un bambino, attraverso la scoperta dei miti, dei rituali o nella visione dei démoni di Villa Palagonia, fino al più maturo e appassionato impegno politico. L’omaggio alla storia della Sicilia c’è, almeno in parte. Il riconoscimento delle tracce dei giorni anche, ma ripercorsi forse più distrattamente, sulla scia di vaghe semplicistiche citazioni.
Baarìa è un affresco, là dove lo si guarda, cattura l’attenzione, avvince. Ma è come se il film non riuscisse a offrire di sè uno sguardo di insieme, come se risultasse frammentato. Forse è proprio così, come quando riaffiorano i ricordi dalla memoria, all’improvviso.
C’è da augurarsi che Giuseppe Tornatore possa volare fino alla notte degli Oscar. Il film è abbastanza forte per competere in una scena internazionale, anche se, personalmente, preferirei che la scelta fosse caduta su Vincere di Marco Bellocchio. D’altra parte ci sarebbe anche da dire che, se la statuina è andata pure a quel Mediterraneo di Gabriele Salvatores nel lontano 1991, beh, a maggior diritto, sia Vincere che Baarìa potrebbero ambire a maggior gloria.
Dario Arpaio
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