Gus Van Sant, Paranoid Park
Di Dario ArpaioPortland, Oregon. Gus Van Sant trasforma questa città dell’Ovest più lontano in un luogo emblematico, nudo, quasi metafisico per esprimere il profondo disagio dei sedicenni, la loro grande solitudine e il disinteresse nei confronti di un mondo adulto che non offre riferimenti se non negativi. Solo lo skateboard dà riparo in una fuga dalle pene del vivere odierno. La tavola diventa un feticcio da cavalcare, una prova da superare e da condividere con il branco. Lo skate rappresenta quella libertà creativa che non trova spazio se non nel parco, il Paranoid Park che, a titolo di cronaca, è anche un luogo reale tra la Southwest Park Avenue e Stark Street, in pieno centro dove Blake Nelson ha ambientato l’omonimo romanzo dal quale Van Sant ha tratto la sceneggiatura del film premiato a Cannes. Nel Paranoid Park i giovani sbandati vivono le loro giornate fatte di permissivismo ed esibizioni spericolate sebbene di grande bravura acrobatica.
Ma il Paranoid Park è anche un orizzonte da raggiungere e per il quale non si è mai pronti. Così afferma il protagonista Alex impersonato da un bravo Gabe Nevins che Van Sant ha scelto attraverso una libera selezione via internet tramite il sito di Myspace. Anche noi entriamo con il protagonista in questo spazio, varchiamo quel confine in una narrazione filmica che ci percuote tra l’8mm e il 35, camera a mano, colori da vecchio technicolor, Alex vive il suo sogno, un’evasione dalla realtà della scuola, da una famiglia dove il padre se ne va, dove la madre è preda dei tranquillanti e il fratellino minore soffre di crisi nervose (chissà perché…).
Mirabile anche la colonna sonora dove tra il rock e il blues appare e scompare il Nino Rota di Giulietta degli Spiriti e dell’Amarcord felliniano. Van Sant ci cattura con un collage di tanti primissimi piani, di volti sfuggenti, o di visi che non hanno interlocutore alcuno, persi in dialoghi senza futuro. Eppoi giunge il momento della prova del treno, un incidente e Alex causa la morte di un sorvegliante. Comincia la paura, il rimorso, l’angoscia hitchcokiana. Un detective indaga sul Paranoid Park. Gli skaters della scuola vengono interrogati e vanno dal poliziotto in formazione con una inquadratura che ricorda la marcia dei protagonisti de il Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah ma con un velo di ironica tristezza: quì non ci sono eroi romanticamente perduti anche se banditi spietati. Quì Alex e gli altri skater sono solo dei ragazzi che magari si ritroveranno nel giro di un paio di anni a combattere loro malgrado una guerra in chissà quale sperduto angolo di mondo per riportare in vita forse una democrazia e per certo salvaguardare gli interessi miliardari del mondo del petrolio. Tutto il film è assai coinvolgente con un montaggio che ha il vago sapore dell’instant movie e una fotografia che Gus Van Sant gioca sapientemente tra sotto e sovraesposizioni, in un impressionismo figurativo che lascia l’amaro in bocca e poche speranze in un futuro migliore.
Per il trailer, cliccate qui.
Dario Arpaio
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Perchè quando si guardano certi film si deve uscire dal cinema con sgomento e amarezza forse anche sfiducia ma in chi? In noi adulti, artefici di una società altamente teconologica priva di sentimenti se non per il proprio io, o nei giovani, mandati allo sbaraglio in questo mondo senza sapere neppure dove andare?
Perchè invece di angosciarci non riflettiamo sui comportamenti giovanili, non con saggi e conferenze, ma cercando di stargli vicino il più possibile guidandoli nelle loro scelte, aiutandoli a risolvere i loro problemi, ascoltandoli! Penso che si riuscisse in questo non avrebbero più senso certi film se non come documento storico della nostra società.
Ottima riflessione, ma è difficile, molto difficile (questo non significa che non ci si debba provare, anzi) stare vicino ai giovani con una mano mentre con l’altra gli propiniamo tonnellate di immondizia di ogni tipo, dalla pubblicità all’educazione, dalla televisione ai valori trasmessi in famiglia.
Alle volte sembra davvero di lottare contro mulini a vento…
beh , ragazzi , il cinema serve anche a farci tornare su noi stessi e sui nostri errori, ma certo è che elvezio ha ragione ! cosa stiamo lasciando alle generazioni future oltre ai telefonini e agli schermi al plasma ? Siamo solo proprio capaci di comunciare la nostra solitudine o riusciamo ancora a provare e, soprattutto, a trasmettere il calore di un abbraccio fraterno ??
ciao
dario
beh..k dire sarà + sfigato in tt i sensi ma è ank un sacco carino…Io ho 13 anni e so fida ma cmq 1 pikkolo comentino lo lacio….BELLO MA SFIGAT…