Alexandra

Di

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Alexandr Sokurov, regista dello splendido Alexandra attualmente in programmazione nelle nostre sale, affida all’obbiettivo della sua macchina da presa un punto di vista così umano, asciutto ma attento all’introspezione al punto che, nonostante il film sia sottotitolato, si rimane avvinti da quanto e da come gli sguardi, i volti, i piccoli gesti quotidiani siano tanto carichi di pathos. La protagonista, Galina Vishneskaya, grande soprano russo e vedova del violoncellista Rostropovich, è al centro di ogni sequenza, di ogni inquadratura, la orchestra, la conduce sapientemente con la sua figura solenne, fragile e severa a un tempo, orgogliosa e capace di esprimere una tenera femminilità nonostante i suoi 81 anni. Il regista la porta a dare di sé il meglio nell’espressione della maternità in un ruolo, di fatto semplice, quello di una nonna che desidera rivedere il nipote, ufficiale impegnato da anni nella guerra in Cecenia. Una guerra dimenticata, una delle tante lacerazioni aperte nel mondo. Sokurov dice del suo film:

Non ho voluto raccontare una cronaca della Cecenia: in Alexandra non si dice mai che ci si trova a Grozny. Anche il cinema, piccola arte rispetto alla letteratura, è in grado di parlare di guerra senza mostrarla. Chi fa film bellici fa film romantici, ma la guerra, qualunque guerra, non ha nulla di affascinante”.

Sarà Alexandra stessa in un dialogo con il nipote a fargli ricordare di chiedere a Dio la forza della ragione, senza la quale tutto è perduto, cancellato. Alexandra si muove attraverso i camminatoi tra le tende della base militare come smarrita in un labirinto di buzzatiana memoria. Gli stessi volti dei soldati russi risultano, a tratti, persi nel vuoto, senza più un passato né un futuro. Non sanno più perché combattono, lo fanno e basta. Questa è l’immagine fosca di ogni guerra, la ragione si perde, si uccide e basta. Alexandra riscoprirà l’umanità quando, fuori dalla base, camminando in un mercatino ceceno, incontrerà altre donne, altre madri. Si instaurerà un rapporto di connivenza spontanea, di salvezza e di speranza pur tra i muri sbrecciati e le case semidistrutte. Non esistono i nemici. Se l’uomo corre incontro all’autodistruzione, solo la donna, forse, potrà ricondurlo alla ragione, offrendosi icona madre in un rapporto vitale oltre ogni male. Sokurov ci lascia una traccia, un affresco da ammirare e ancora da rileggere in ogni suo dettaglio. Ogni uomo ha facoltà di scegliere il proprio percorso di vita.

Dario Arpaio


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