Iron Man

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Iron ManIRON MAN
2008,    USA, colore, 126 minuti
Regia: Jon Favreau
Soggetto/Sceneggiatura: Mark Fergus, Hawk Ostby, Art Marcum e Matt Holloway sulla base di una serie Marvel

Tira una buona aria dalle parti delle pellicole tratte dai fumetti e sono alcuni anni che vediamo seri tentativi di integrare il linguaggio dei comics e quello dei film. Sin City, Hellboy, Batman Begins sono fra i primi titoli che vengono in mente e ora questo gruppo si arricchisce di una punta di diamante insperata.

Insperata perché non c’erano elementi che lasciassero presagire la realizzazione di una pellicola di tale valore: un attore principale dalle capacità recitative perlomeno dubbie e i cui eccessi privati rischiano sempre di influenzare anche l’ambito professionale, un regista che non aveva lasciato prove memorabili prima di questo capolavoro, una sceneggiatura pasticciata a più mani (ben 4 le persone al lavoro) e un personaggio di base che, pur al centro dello stupendo rinnovamento che ha attraversato la Marvel negli ultimi anni, lasciava comunque spazio a interpretazioni deboli.

Si aggiunga a tutto questo lo strascico del “predecessore” in tema di scontri robotici, il mediocrissimo Transformers, e si potranno comprendere i dubbi e le perplessità della vigilia. E invece, come in uno strano esperimento chimico, è scattato qualche catalizzatore che lascia incollati alla poltrona e inserisce Iron nel gruppo dei migliori adattamenti da fumetto, insieme alle pellicole menzionate in precedenza e, idealmente, accanto all’inarrivabile Popeye di Robert Altman, che tanto ancora potrebbe insegnare sulla trasposizione di certi meccanismi narrativi.

E Favreau e compagni vari di merenda scriptica ci sono riusciti proprio dando largo spazio a Stark piuttosto che al suo alter ego, mischiando commedia con notevoli punte di comicità a azione sfrenata, alternando il futuribile al contemporaneo e azzeccando una serie pressoché infinita di intuizioni che, sommate, lasciano vogliosi di tornare subito in sala.

Il perno è nella scelta del cast. Non si poteva prendere altro che Robert Downey Jr per interpretare Robert Downey Jr: il ragazzo è anni luce più cool di voi, di me e del 99% delle creature che affollano lo schermo e riesce a dare corpo e volto a Tony Stark facendo quello che ha sempre fatto: velocità, alcool, belle donne, ambienti di lusso e spacconate. Spetta agli sceneggiatori iniettare nel personaggio-Downey le poche cose che gli mancano per diventare personaggio-Stark e quando si hanno a disposizione professionisti del calibro di The Orphanage, ILM, Stan Winston, Pixel Liberation Front, The Embassy, Gentle Giant Studios o Lola Visual Effects potete star tranquilli che si iuscirebbe a iniettare tecnologia anche nelle pietre.

L’altro elemento di pregio nel casting è da cercarsi in quel Jeff Bridges che con questo film diventa la v. 2.0 di Gene Hackman e rivela quella vena cattiva che potrebbe diventare un importante binario guida in sue future prove. Da Starman a Lebowski, quest’uomo ha sempre sfornato prestazioni di ottimo livello e sarebbe ora che se ne accorgessero anche dalle parti di quella stupida statuetta d’oro che viene assegnata ogni anno. Qui attraversa almeno tre distinte fasi e se la cava bene in tutte le variazioni fino alla frenesia conclusiva. Ben fatto Jeff! Meno bene la legnosa e insulsa Gwyneth Paltrow.

Naturalmente la tecnologia è padrona del film, ma lo è in modo non urlato (tranne, maledizione, per quel mega-generatore messo dove di solito le altre ditte hanno la reception!) e con ottime soluzioni visive. Il ferro non padroneggia quasi mai sull’uomo e quando lo fa il suo impatto futurista viene mediato da echi Pixariani (finalmente! L’intera gestione delle braccia meccaniche nel laboratorio di Stark è totalmente debitrice nei confronti della lampada-simbolo della Pixar) e finanche da sfumature di The Iron Giant di Brad Bird (il prototipo nella cava e quello nemico nel finale).

Iron Man brilla anche nel segmento più difficile, quello dei voli e dei combattimenti, finalmente, forse per la prima volta in modo così notevole, COMPRENSIBILI e privi di montaggio e inquadrature confusi, soluzione che permette sempre allo spettatore di avere il controllo sulle parti in causa negli scontri e sulla loro risoluzione, un notevole passo avanti rispetto alla cacovisualizzazione di Transformers.

Doveroso menzionare una colonna sonora che, in un film come questo, non poteva non rendere merito al dio metallo: Black Sabbath e AC/DC su tutti, con qualche omaggio “musicale” anche fra gli attori, Tom Morello in primis, ma anche Ghostface Killah se ho visto bene.

Ma, per quanto riguarda la mia sensibilità, il vero protagonista del film sono gli splendidi, splendidi, splendidi interni del film, fotografati con meticolosità da un Matthew Libatique che migliora di prova in prova e si candida anche lui, insieme a Bridges, per la summenzionata, odiosa statuetta.

Sic sempre Marvel!


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