12 anni schiavo in corsa per l’Oscar
Di Dario ArpaioEsce nelle sale 12 Anni Schiavo, terza prova registica dell’inglese Steve McQueen, affermatosi con il magnifico struggente Hunger (2008), sua opera prima alla quale è seguito Shame (2011), più controverso del precedente nonostante si sia avvalso della sempre straordinaria interpretazione di Michael Fassbender.
12 Anni Schiavo di McQueen è già stato premiato ai Golden Globe come miglior film drammatico ed è candidato a ben 9 statuette, quasi tutte quelle che contano nell’assegnazione degli Oscar, laddove viene dato per vincente dai media americani.
Il soggetto è tratto dall’autobiografia di Solomon Northup, violinista di colore, rapito e venduto schiavo in Louisiana nel 1841 dove venne poi liberato dopo un lungo decennio vissuto in catene, umiliato, frustato e costretto a subire la tremenda condizione dei neri nel periodo peggiore per lo schiavismo in USA.
McQueen si riconferma regista sottilmente raffinato nelle inquadrature, nell’uso fortemente incisivo dei primi piani, nella cruda visione del martirio di un corpo. Il film è assai ben confezionato tecnicamente, ma risulta patinato, galleggia sulla superficie, nulla comunica di ciò che effettivamente fu l’impatto dello schiavismo nello sviluppo degli Stati Uniti. L’emozione suscitata dalla vicenda di Solomon Northup portata sullo schermo non fa fremere le viscere dello spettatore. Suscita sentimenti di compassione fine a se stessi, tranquillizzante rispetto alla distanza temporale degli eventi narrati. Hollywood d’altra parte ha sempre volutamente ignorato la schiavitù, rimanendo ben ancorata a facili dicotomie bene-male, buono-cattivo, affrontando raramente e solo superficialmente ogni argomento inerente a quella che fu e rimane una macchia indelebile nella storia del Paese paladino della libertà individuale. In controtendenza, negli ultimi tempi, si ripete la proposta della trattazione della schiavitù almeno da un punto di vista politico (Lincoln) o provocatoriamente fumettistico (Django). Poco aggiunge di fatto 12 Anni Schiavo, anche se per la prima volta vengono illustrati stralci e momenti di vita quotidiana vissuti dagli schiavi di colore. Alcune sequenze risultano particolarmente forti. Come, ad esempio, quella dove Solomon resta appeso con la corda al collo, con la punta dei piedi nel fango ad impedirgli il soffocamento, del tutto ignorato dagli altri neri vicino a lui, ciascuno attento alle faccende quotidiane come se lui non esistesse. E’ la rappresentazione della vuota rassegnazione, dell’annientamento della volontà, della personalità che fanno della schiavitù la peggiore delle infamie. Ciò peraltro traspare solo marginalmente nel film forse a causa di una regia troppo attenta al particolare estetizzante, all’immagine in sé più che al significato stesso.
Gli stessi personaggi della vicenda risultano vagamente sempliciotti. C’è il padrone paternalista, quello sadico, c’è il mercante di schiavi cinico, lo straniero abolizionista. Tutti troppo schematizzati come da clichè. L’unico forse a trasmettere drammaticamente il proprio ruolo è Fassbender nei panni del latifondista nevrotico, amorale, violento.
Lo stesso protagonista, Chiwetel Ejiofor, candidato all’Oscar come miglior attore, tenta ripetutamente con gli occhi di esprimere tutta la sua disperata rassegnazione alla sopravvivenza quando tutto sembra definitivamente perduto. Spesso però lo sguardo sembra vuoto, assente senza pathos.
12 Anni Schiavo, è stato voluto fortemente anche da Brad Pitt, che figura tra i produttori oltre a ricoprire il ruolo del canadese abolizionista. McQueen ha forse ecceduto nella sua regia autoriale raffinata, che gli è comunque propria, e sembra non riuscire in quello che forse era l’intento primario: dare un pugno nello stomaco, fare conoscere il vero volto dello schiavismo, almeno nei suoi effetti. Certamente un buon film, forse un po’ sopravvalutato, a torto o a ragione.
Dario Arpaio
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