13 Assassini, sangue e onore

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13 Assassini di Takashi Miike viene accolto con le lacrime dall’amico Quentin Tarantino al momento della presentazione del film al festival di Venezia 2010. QT ha chiesto anche di rivedere da solo tutta la prima parte del film, ammirato e commosso dall’opera di Miike. Eppure non lo ha premiato (ricordiamo che Tarantino è stato presidente di giuria nell’ultima edizione della kermesse veneziana).

Il film appartiene al genere Jidaigeki, ovvero storie di samurai, e Miike per la prima volta, nella sua più che prolifica carriera, ha voluto cimentarsi in una prova di stile, di maniera, senza tralasciare la sua impronta ironica e l’inconfondibile scia di sangue che scorre in tutti i suoi film. Il cinema di questo iperattivo regista giapponese è amato e odiato, comunque seguitissimo da un nutrito stuolo di fan, mai delusi dalle proposte, a volte bizzarre del loro beniamino. Come ad esempio, il recente Sukiyaki Western Django del 2007, che con gli occhi di un cinefilo giapponese, potrebbe riassumersi così: se voi in Italia mangiate spaghetti, noi, in Giappone, mangiamo il sukiyaki (manzo con verdure e tofu). Voi avete avuto Leone e Corbucci, noi abbiamo Miike, che li fa rivivere a suo modo, in un delirio punk di colori accesi nel solito bagno di sangue finale, tra colt e katane.

Ma Miike ogni volta rinasce da se stesso, e 13 Assassini ne è l’ennesima riprova, dopo i cimenti nel genere fantascientifico, nell’horror splatter e, per così dire, nel western. Il film è il remake fedele dell’opera di un regista di nome Eiichi Kudu, girato nel 1963 e, proprio in questa dichiarata fedeltà, c’è anche l’atto di amore, da parte di Miike, verso il genere che ha dato tanto lustro al cinema giapponese grazie a grandi cineasti, tra tutti Akira Kurosawa.

Come ne I 7 Samurai, pochi sono asserragliati in un paesello di campagna contro molti, così 13, tra samurai e ronin, guidati dall’eroico Shimada, tendono un agguato ai 200 di scorta al sadico signorotto Naritsugu, per uccidere quest’ultimo, e salvare il paese dalle terribili atrocità commesse da costui per puro passatempo.

Ma è il culto dell’onore a tessere tutte le trame del film. Quello assoluto nei confronti del proprio signore. Quello cameratesco, tra pari. Infine quello del sublime sacrificio del gesto ultimo e simbolico, rappresentato dall’hara kiri nella tradizione dei samurai, che è pure il soggetto dell’ultimo film di Miike, Ichimei, con le musiche del grande maestro Ryuichi Sakamoto, presentato con successo e qualche critica negativa a Cannes 2011.

Onore, passione, sacrificio estremo, e un pizzico di ironia, questi gli ingredienti che compongono 13 Assassini, che ha il suo culmine in una delle più belle e lunghe sequenze di battaglia di spada girate negli ultimi anni, con una maestria nel montaggio e una perfezione dell’inquadratura raramente viste sugli schermi in tale bellezza.

In fondo c’è anche la morale secondo Miike, che con un mezzo sorriso divertito ci dice: forse forse, è meglio non rinascere samurai, se poi si è solo costretti a morire in gloria. Meglio l’amore di una bella donna, benché anche quest’ultimo porti con sé delle pene…

Dario Arpaio.


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