Con l’Hobbit, un viaggio inaspettato a caccia di draghi
Di Dario ArpaioPeter Jackson si lancia in un nuovo viaggio tolkeniano, tanto inaspettato quanto atteso dai fan de Il Signore degli Anelli. Con il suo Hobbit riparte l’avventura, o meglio inizia, la storia, al cui epilogo abbiamo già assistito tra il 2001 e il 2003. Evidentemente i tre miliardi di dollari incassati e le decine di Oscar vinti dalla trilogia del Signore degli Anelli non sono bastati per soddisfare la tasca e la fantasia di Jackson. Come lo vedessimo, aggirarsi inquieto ed eccitato tra le stanze della hobbit casa di Bilbo e Frodo, dove tutto ha avuto inizio. Tra l’altro se l’è davvero fatta riassemblare tale e quale nel suo giardino per metterla a disposizione degli ospiti. La trilogia del Signore degli Anelli è stato uno dei più grandi successi della storia del cinema, ma ha anche e soprattutto significato un’autentica impresa, genuina, eroica, che ha visto coniugare l’artigianato più schietto, con una grande inventiva e altrettanta innovazione tecnologica, in Nuova Zelanda, la terra agli antipodi, non a Hollywood. Qualcosa della creazione deve avere lasciato un segno profondo nell’animo (e nella tasca) del regista neozelandese per spingerlo a ricompattare squadra e cast per andare alla riconquista del tesoro dei Nani, custodito dal terribile drago Smaug, che si sa, ama sopra ogni cosa l’oro come tutti quelli della sua specie.
John Ronald Reuel Tolkien però ha un merito ancora più grande del geniale regista, quello di essere stato il creatore di un mondo e dei suoi popoli, dei loro costumi, dei loro linguaggi, dove gli uomini hanno solo una parte relativa al resto. Tutto ha avuto inizio intorno agli anni ’20 quando J.R.R. divenne amico di Clive S. Lewis, l’autore de Le Cronache di Narnia. Insieme fondarono il circolo letterario degli Inklings. Pare quasi di vederli, questi baffuti gentlemen, sopravvissuti alle trincee della Prima Guerra Mondiale, ritrovarsi a chiacchierare seduti davanti a un camino, fumando e sorseggiando whisky, per discutere di accenti e inflessioni dei tanti dialetti medievali della loro Terra. Così, via via prendevano corpo anche i talenti dei personaggi che andarono alla guerra contro il signore oscuro, Sauron, oppure in battaglia al seguito del divino leone Aslan. Forse più orientato ad una scrittura per ragazzi era C.S. Lewis, mentre J.R.R. Tolkien era più intensamente dedito all’aspetto filologico, tale da fargli architettare linguaggi complessi e leggende ardite nelle strutture attentissime alle genealogie, una vera e propria bibbia per il genere chiamato poi Sword and Sorcery, spada e magia, eroi e stregoni. Peter Jackson ha un talento registico genuino e una capacità indubbia nel riuscire a dirigere un team davvero unico, capace di andare a rintracciare sulle cime neozelandesi degli alberelli magri e trasformarli nella foresta degli Ent, o di ideare il make-up dei terrificanti Uruk-hai, o raffinate tecnologie blue screen e altro ancora. Chi ama la trilogia del Signore degli Anelli, se vuole, può andare a scoprire tutto ciò che è stato il backstage della nuova avventura di Jackson e dell’Hobbit grazie a una app, Hobbit Movies, sviluppata dalla Warner Bros, scaricabile gratuitamente su iPhone o iPad. Ci sono, oltre a vari sfondi, una decina di clip che raccontano passo passo questo nuovo film di Jackson, in tutti i suoi aspetti creativi.
Ed è finalmente sugli schermi l’Hobbit – Un Viaggio Inaspettato, nel 3D voluto da Jackson, per dare ancora più corpo e spettacolarità ai tre episodi che racconteranno le gesta di Bilbo e di tredici Nani, che, quidati dal loro principe Thorin Scudodiquercia e dal mago Gandalf, andranno a riconquistare il regno nanico di Erebor, attraversando quelle terre che già trasudano qualcosa di oscuro, che sta tramando nell’ombra…
Gli attori, in parte, li abbiamo già ammirati nel Signore degli Anelli, a partire da Ian Mckellen-Gandalf, questa volta doppiato da Gigi Proietti. Vedremo di nuovo Cate Blanchett-Galadriel, Christopher Lee-Saruman, Hugo Weaving-Elrond, Elijah Wood-Frodo, il grandissimo Andy Serkis-Gollum (che ha anche guidato la regia di una seconda squadra) e via via tutti i già visti e non, tra i quali, più che degno di nota è Richard Armitage nel ruolo del principe Thorin, nano nonostante il suo metro e novanta.
Bello questo Hobbit in viaggio, con un Jackson attento a raccogliere anche il consenso dei più piccoli, trasformando i nani di Tolkien in una nouvelle vague dei sette di Walt Disney. Si può certo perdonare a Jackson qualche divagazione dall’originale tolkeniano. Le scene di battaglia sono comunque le sequenze migliori del film che di fatto è il prologo che, ahimè dovrà farci attendere uno più uno, altri due anni per lo scontro finale. Male non sarebbe andare a rileggersi lo Hobbit, anche se non è l’opera migliore di J.R.R. La Società Tolkeniana Italiana ne ha curato una nuova traduzione per i tipi di Bompiani. Così forse si potrebbe anche riandare con l’immaginazione a quel circolo dove due docenti universitari, dall’aspetto austero, ridevano sotto i baffi, creando due saghe tali da lasciare un segno irraggiungibile nella letteratura fantastica di ogni tempo.
Dario Arpaio
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