Gomorra, il cinema si fa arte
Di Dario ArpaioDiciamo subito che il film Gomorra di Matteo Garrone ha in sé tutti i caratteri dell’eccellenza. Vedremo presto in che misura la giuria del festival di Cannes lo saprà riconoscere e apprezzare. Nel frattempo possiamo già ammirare l’opera di un giovane grande regista dal segno espressivo potente, soprattutto se confrontata con la mediocrità di certo nostro cinema che si crogiola in patetiche commediole così care a quei produttori attenti solo al botteghino. Domenico Procacci con la sua Fandango invece ha scelto di produrre qualità affidando la regia a Garrone e a ben cinque sceneggiatori il compito di tradurre per lo schermo l’omonimo libro di Roberto Saviano (nella foto a lato), lui stesso coinvolto nella fase di stesura. Libro e film corrono paralleli più che sovrappporsi e riescono a offrire un’immagine senza enfasi, quasi documentaristica della camorra e di come questa forma di malavita sia radicata nel territorio. Altro grande merito del film è quello di non commentare, di non accusare con quel certo linguaggio melodrammatico troppe volte ostentato da politici e intellettuali che diventano eco a loro stessi, inconcludenti. In Gomorra si intersecano cinque diverse storie in una concertazione scabra, distaccata, dai toni forti. Non siamo più di fronte alla camurria del guappo che si muove sul palco della sceneggiata tra a’ malafemmena e o’ malamente. Gomorra trasforma il nostro occhio in macchina da presa e lo fa addentrare in piena soggettiva in una realtà apocalittica vissuta dai protagonisti come l’unica ineluttabile imprescindibile forma di vita autorizzata dal potere politico ed economico. Non resta altra scelta, o uccidi o sei servo, ed è questo anche il titolo dell’articolo di Roberto Saviano apparso su L’Espresso che presenta l’opera di Matteo Garrone e ce la offre con generosità lui stesso, oggi obbligato a vivere sotto scorta. Ci sarebbe da domandarsi il perché di questa costrizione, dal momento che sia il libro sia il film trattano argomenti noti a tutti, approfondendo semmai alcuni dettagli di quello che non è più il quadro di una camorra oleogorafica ma è diventato o’ sistema. I camorristi di oggi investono in imprese pulite, vestono in giacca e cravatta, rappresentano una imprenditoria feroce e potente, una vera nuova borghesia emergente. O’ sistema non lascia alternative, si rigenera a ogni assalto della legalità. Matteo Garrone gira con la sua macchina da presa nel casertano, nel napoletano e trasforma i colori e i suoni delle Vele di Secondigliano in un luogo che ricorda la fortezza del Macbeth di Kurosawa e qualche assonanza con gli scenari cupi di Lovercraft. Li rende reali, senza compiacenza, perfezionando e attualizzando quel tragico antico affresco napoletano di Curzio Malaparte. Più d’una le sequenze da antologia. Tutti bravi gli interpreti a iniziare da Toni Servillo, uno dei pochi veri grandi attori professionisti del nostro cinema, lui che viene dal teatro e sa rinnovarsi in ogni nuovo ruolo. Ed è proprio il personaggio di Servillo che deride il giovane assistente quando questi afferma il suo rifiuto al sistema, allontanandosi da solo, a piedi sullo sterrato polveroso, nella consapevolezza che un futuro diverso si può e si deve costruire. Forse ci siamo dimenticati che la libertà è conquista, a volte più che sofferta. Troppo spesso oggi siamo portati a comprarla al supermercato o da qualche politico corrotto o corruttibile, restando comodamente seduti in poltrona.
Dario Arpaio
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Complimenti Dario! Anche questa volta, pur parlando di un argomento ormai diventato quotidiano come le previsioni del tempo, hai suscitato la voglia di andare a vedere questo film e leggere il libro, anche se, ripeto, trattano un aspetto della nostra società (e non solo della nostra) di cui si sente troppo parlare ma contro il quale si fa ben poco, se non dolersi in abbondanza per l’ennesima vittima!
Grazie Guendalina. Non dobbiamo mai disperare anche se come tu stessa dici noi possiamo fare ben poco e…tanto nello stesso tempo. Ovvero cerchiamo, tentiamo di riappropriarci della vera democrazia dal basso, iniziamo ad ‘agire’ a livello di quartiere, di circoscrizione, di comune per non mostrare disinteresse o disincanto di fronte alle ingiustizie. Dobbiamo tentare di essere noi soltanto gli attori della nostra vita. Questo io penso e credo anche se a volte mi sembra di essere donchisciottesco e anche un po’ rincoglionito.