Hellboy, The Golden Army
Di Dario ArpaioHellboy torna sugli schermi con la sua compagna Liz e con Abe l’alieno anfibio. I tre, che fanno parte di un quasi segreto buffo bureau investigativo del paranormale, questa volta devono vedersela con il mondo sotterraneo, l’universo parallelo che chiede vendetta sugli esseri umani colpevoli di distruggere la terra, per di più costringendo nelle tenebre del sottosuolo la razza degli antichi Nuada, che, secondo il loro principe, avrebbe pieno titolo e diritto di dominare il mondo di sopra. Per tornare a essere re occorrerà risvegliare l’invincibile armata d’oro creata dal re degli elfi. Hellboy e compagni dovranno cimentarsi contro gli indistruttibili guerrieri d’oro. Questa, in breve, è la sceneggiatura scritta da Guillermo Del Toro per il secondo episodio di Hellboy, sottotitolato appunto, L’Armata d’Oro. Del Toro si è pure avvalso della collaborazione di Mike Mignola, l’autore del fumetto. Le tavole originali sono cupamente gotiche, sature di chiaroscuri dai forti contrasti, ed evocano l’ammirazione del disegnatore per i mondi usciti dalla penna di Howard Phillips Lovercraft. Invece Hellboy secondo Del Toro partecipa dell’universo fantastico, fiabesco, onirico caro al regista de Il Labirinto del Fauno che a ogni successivo film accentua i caratteri della sua grande capacità narrativa. Del Toro sempre più giunge a una caratterizzazione della sua estetica, riconoscibile e originale, quasi del tutto compiuta, che ci auguriamo avrà il suo apice nella prossima regia de Lo Hobbit, film al quale lo stesso Peter Jackson lo ha chiamato. Nel secondo Hellboy l’umorismo, l’ironia sono miscelati con la malinconia dell’eroe solo e triste, quasi disorientato quando posto dinanzi al proprio destino. Il forte cromatismo simbolico voluto dal regista si coniuga con la magnifica fotografia curata ancora una volta da Guillermo Navarro. Tutto si orchestra magicamente con una punta di nostalgia verso un’età dell’oro ormai sopita, tanto da chiedersi alla fine chi siano i veri mostri e dove si celi davvero il male che oscura il nostro tempo.
Un film molto molto ben riuscito, piacevole, divertente e, a un tempo, commovente.
Un apprezzamento particolare lo vorrei attribuire al protagonista Ron Perlman che ricordo nei panni di un francescano nel Nome della Rosa di Joffè, quando urlava, in una sorta di grammelot, la sua eresia di libertà in faccia ai carnefici dell’inquisizione che lo conducevano al rogo. Esprimeva anche allora una grande espressività visiva che, senza saperlo a quel tempo, anticipava il diavolaccio rosso amante dei sigari, della birra e dei gatti.
Dario Arpaio
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