Il Cacciatore di Aquiloni secondo Forster
Di Dario ArpaioIl Cacciatore di Aquiloni, opera prima di Khaled Hosseini è un bel romanzo dal successo conclamato, come hanno già ricordato nei giorni scorsi anche Elvezio e Graziano. In quelle pagine, spesso accorate e a tratti di grande lirismo, approcciamo una realtà e una cultura molto molto distanti dalla nostra. Ne rimaniamo affascinati, ma corriamo il rischio di ‘interpretare’ invece di ‘comprendere’ o almeno tentare di farlo. I nostri occhi occidentali spesso non vanno oltre ciò che vedono quel che meglio pare a loro, quasi sempre con paternalismo, senza mai potersi o volersi porre su un medesimo piano di vita. Questo forse è uno dei problemi di fronte ai quali avrebbe dovuto trovarsi anche il regista Marc Forster dopo che gli è stata affidata la direzione del film da Steven Spielberg in veste di detentore (astuto) dei diritti del libro con la sua Dreamwork.
Ebbene, credo che il risultato finale sia mediocre. Non si può evitare un grande plauso per la scelta delle location trovate nella parte nordorientale dell’Afghanistan, oltre il confine cinese. Altrettanto pregevole è la ricostruzione di una Kabul all’epoca (forse) felice del regno, poi durante l’invasione russa e ancora sotto la altrettanto atroce rivincita di matrice talebana. Ottima la scelta dei bravi attori afgani e in parte anche iraniani. Mi riferisco soprattutto ai bambini, che poi, per buona sorte, sono stati aiutati a fuggire negli Stati Uniti dopo essere stati oggetto di minacce di ritorsioni di matrice fondamentalista islamica per aver partecipato al film.
Nel film tutto è compiutamente svolto in tema di immagini. Lo spessore manca. Il dramma è reso superficiale, spesso affrettato, troppo sintetico, addirittura banalizzato a uso e consumo dell’occidente dal conio hollywoodiano. Il tema del razzismo, della pedofilia, della violenza e delle atrocità della guerra vengono sfiorati marginalmente e affrontati con sdegno di maniera, banalmente. Anche il dramma del rimorso feroce, che il protagonista vive dentro il proprio animo durante l’arco di venti e più anni, traspare appena, così come l’altro personaggio centrale, l’amico, il quale scompare all’improvviso per riapparire solo in una foto.
Innegabile grande protagonista è certo l’aquilone che vola, schizza, scarta, seduce gli occhi dei bambini e dei grandi che seguono le evoluzioni con il naso all’insù e il palpito al cuore. Gli aquiloni che lottano tra loro per il dominio dell’aria in un tripudio di colori che spazzano ogni ombra. Gli aquiloni che vivono della fantasia bambina. Non per niente i talebani fondamentalisti vietano gli aquiloni e i sogni.
Insomma non mi pare che Marc Forster ci abbia offerto un buon risultato anche se si presuppone questo film già destinato a qualche nomination da Oscar consolatoria per le nostre coscienze spettatrici di tanto dramma. Intanto il regista sta preparando il nuovo 007 con Daniel Craig.
Dario Arpaio
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