Amour di Michael Haneke
Di Dario ArpaioMichael Haneke e il suo Amour sono stati premiati lo scorso maggio a Cannes con la Palma d’Oro da una giuria estasiata di fronte a tanta purezza filmica, almeno quanto altrettanto si è commosso il pubblico. Emmanuelle Riva e Jean Louis Trintignant hanno esaltato la sceneggiatura dello stesso Haneke dando corpo e anima ai due anziani musicisti innamorati della vita vissuta attraverso un amore alimentato dalle piccole cose di ogni giorno, in un’armonia di intenti rara e dolcissima. Qualche screzio banale non ha turbato nel tempo la vita dei due musicisti la cui figlia, impersonata da Isabelle Huppert, vive anche lei di musica, ma con una famiglia assai meno serena.
Tutto il film è ambientato nella casa dei due anziani Anne e Georges e i muri, i quadri, le poltrone, le sedie, tutto partecipa come un coro greco muto e attento spettatore. La quotidianità viene bruscamente interrotta dal destino. Improvvisamente Anne ha una perdita di coscienza e rimane con lo sguardo fisso nel vuoto. Georges tenta di animarla, di riavere la sua compagna. Ma il leggero ictus è solo l’inizio del calvario, lento e inesorabile al quale Georges si oppone con tutto il suo amore, provvedendo lui stesso a tutti i bisogni della donna. Il senso di precarietà della vita, di fragilità, di latente incombenza di un destino ineluttabile avvolgono lo spettatore nello sfacelo con ferma sobrietà intrisa di poesia amara, dura, asciutta, a tratti densa di tenerezze.
La malattia di Anne concede qualche intermezzo al quale i due si aggrappano, ricordando attimi felici vissuti tra quelle stesse mura che, impassibili, assistono al lento disfacimento del corpo e dell’anima della donna e dell’uomo, che diventa lui pure piccolo e indifeso quanto il corpicino di lei. Nulla si può contro la morte. Restano le stanze vuote, impassibili, fredde di fronte al senso dell’amore che le ha attraversate.
La vecchiaia secondo Haneke non è una terza stagione felice dell’esistenza. Ce la mostra in tutta la sua inesorabilità, senza ipocrisie, senza cinismo. Amour non snocciola le accordature dolciastre di altri film analoghi. Haneke ci mostra la disperazione di una lotta che non può avere altro epilogo da quello che è, ci racconta la rabbia, la tenerezza crudele di un addio.
Meravigliosi i due protagonisti. Emmanuelle Riva nei suoi ottantacinque anni ha attraversato tutto il meglio del cinema e del teatro francesi, fin dai suoi esordi nel mai dimenticato Hiroshima non amour di Alain Resnais. Nella sua grande arte interpretativa si lascia plasmare, modellare da Haneke come pochi altri avrebbero saputo fare per dare anima al suo personaggio. Donna coltissima, offre un saggio di grande recitazione, irripetibile. Jean Louis Trintignant di anni ne ha ottantuno ed è altrettanto sublime, perfetto nel ruolo dell’uomo che combatte la malattia della moglie. Pare a tratti indifeso nel suo amore che va oltre la vita. Grande grande interpretazione anche la sua, che dopo i tanti successi sul grande schermo, ancora oggi non si lesina al teatro. Ama i reading di poesie, ama recitare Prévert. In una delle tante interviste seguite alla presentazione di Amour, ha citato il poeta ricordando che “bisognerebbe provare a essere felici, se non altro per dare il buon esempio”.
Dario Arpaio
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