Ballkan Bazar di Edmond Budina

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Il cinema Empire se ne sta come rannicchiato in un angolo della superba piazza Vittorio Veneto a Torino. E’ una vecchia sala con gli stucchi, e ancora conserva l’uso della galleria. Cesare Pavese la frequentava assiduamente, sostando poi al Caffè Elena, situato giusto a fianco del cinema. Ancora oggi qualcuno vi potrebbe segnalare il tavolino dove sedeva, dando ripetizioni di inglese ai suoi allievi.

Il cinema Empire offre da sempre la migliore programmazione del cinema indipendente e in questi giorni propone Ballkan Bazar, per la regia di Edmond Budina, una gradevole commediola grottesca basata in parte su fatti davvero accaduti in Albania e sceneggiati dallo stesso regista. Budina  è albanese e del suo Paese conosce le più sottili dinamiche storiche. Oggi vive a Bassano del Grappa e di lavoro fa l’operaio in una fabbrica di caldaie a gas. Una vita da emigrante in corsa dietro a un sogno da cineasta.

Ballkan Bazar è una ballata a tutto tondo, racconta di scheletri riesumati a casaccio, povere ossa contrabbandate tra i battibecchi degli abitanti di un villaggio di confine, greci e albanesi divisi da ataviche rivalità. Il tutto è condito dal regista con un pizzico di humour nero, di vecchie superstizioni raccolte nei fondi di caffè, e con qualche sogno visionario, intramezzato dallo sventolio di bandiere di tutti i colori che si alterna a scandire il ritmo tra le varie sequenze. Alla fine, l’unica verità sostenibile pare risultare l’amore libero, appassionato, scevro da pregiudizi, giocato in un campo di grano o nel cassone di un camion. Budina pare farsi un baffo delle bandiere, che sembrano, ormai, solo inutili retaggi del passato, pretesti buoni solo per alimentare stupidi nazionalismi.

Tutto ha inizio quando una donna francese parte alla ricerca della salma del padre morto in guerra e sepolto in Italia, per riportarlo in patria. Le amate spoglie finiscono per caso in Albania, in un piccolo paese sperduto sui monti, proprio nelle mani di un prete intrallazzone, interpretato dallo stesso Budina, che sta per rivenderle, insieme con le salme di altri paesani, destinandole a un cimitero monumentale in costruzione, voluto per commemorare il ricordo di soldati greci morti in battaglia chissà dove. Ma gli abitanti del villaggio si ribelleranno e impediranno il misfatto del prete.

Il film risulta forse un po’ presuntuoso, non raggiungendo del tutto lo scopo, perdendosi a tratti in cadute di ritmo, ma i suoi personaggi sono ben delineati e danzano i rispettivi ruoli sulle note della sceneggiatura, così come vuole il titolo stesso. Si incrociano casualmente, tra piccole ipocrisie, a volte scontrandosi per opportunismo, grottescamente, come richiede la fattura di ogni buona commedia.

Prima coproduzione italo-albanese, andrebbe forse visto in lingua originale sottotitolata, tante sono le lingue parlate nel film, il cui doppiaggio un po’ confonde gli accenti, disperdendoli, ma il regista operaio può ben essere soddisfatto della sua opera, così come gli spettatori.

Dario Arpaio


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