Bong Joon Ho e il suo Snowpiercer d’acciaio
Di Dario ArpaioGià famosa negli anni ’80, la graphic novel Le Transperneige è diventata uno splendido film fantapocalittico per la visionaria regia del coreano Bong Joon Ho con il titolo di Snowpiercer, grazie anche alla lungimiranza di Park Chan-Wook che si è reso disponibile a finanziare l’opera, dopo i tanti dinieghi raccolti da Bong alla ricerca di fondi. Dalla matita e dalla penna di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette alla macchina da presa di Bong Joon Ho va subito detto che nulla si perde del cupo fascino del soggetto originale, altamente drammatico, a tratti profetico e gli amanti del genere avranno di che saziarsi con questo magnifico film di fantascienza dall’impatto forte e adrenalinico. Viceversa accostarlo a titoli come Blade Runner o Matrix, o disturbare addirittura Metropolis è altra cosa. Le citazioni o certi confronti viziosi sviliscono l’opera del coreano, autenticamente originale, genialmente ironica.
Nel 2031 l’uomo è riuscito a favorire, con la sua arrogante stupidità, una nuova glaciazione tale da cancellare ogni traccia di vita sulla Terra. I pochi resti di umanità sopravvivono su di un treno in perenne corsa, mosso da un moto perpetuo frutto della genialità del suo inventore e costruttore, il magnate di nome Wilford. Il treno non si ferma mai nella sua corsa intorno al globo e nei mille e uno vagoni porta con sé ricchi e poveri. I primi nelle carrozze in testa, dotate di ogni comfort. I secondi, da buoni ultimi, ammassati in coda, dove la sopravvivenza è scabrosa. Nei quasi ventanni di corsa le ribellioni si sono ripetute senza successo, immediatamente represse e castigate dal rigido controllo cinicamente classista voluto da Wilford che vive isolato nella sua divina locomotiva. Ma qualcosa cova sempre sotto la cenere e lo scontro finale per il controllo della ricchezza è inevitabile. Un uomo di nome Curtis capeggerà la sanguinosa rivolta, correndo di vagone in vagone, fino all’epilogo sorprendente e spiazzante, condito con una sorta di happy end (un po’ forzoso).
La regia di Bong si poggia su di un cast di alto profilo, da Ed Harris a John Hurt a Tilda Swinton. Protagonista è Chris Evans senza la tutina di Capitan America a sua volta coadiuvato dall’attore culto di Bong, Song Kang-ho. Ognuno dei personaggi crea un perfetto accordo nella babele multirazziale, gioca, uccide, inganna, tortura e si commuove. L’arca sferragliante è la metafora perfetta del nostro mondo nei sui biblici rimandi, smorzati con eleganza dall’ironia divertita di Bong. Dal buio claustrofobico alla luce accecante, tutto si muove ineluttabilmente verso un unico irraggiungibile e illusoriamente amaro traguardo.
Eccellente e sarcastico, Snowpiercer di Bong Joon Ho, capace di rinnovare con originale eleganza uno dei generi più amati. Prepotente nel suo impatto capace di coniugare gli stilemi classici del genere, rinnovandoli, come già è stato per il magnifico District 9 del sudafricano Neill Blomkamp.
Dario Arpaio
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