Che, La Guerriglia

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che-guevara.jpgNon è un’immagine tratta dal film di Soderbergh, Che, La Guerriglia, seconda parte del film voluto da Benicio Del Toro. La foto è l’ultima istantanea scattata a Ernesto Guevara poche ore prima della sua uccisione. Lo ritrae stanco, desolato, isolato dal resto del mondo, quello stesso che lui, idealisticamente, voleva vedere diverso, a tutti i costi. Il suo sguardo è come sospeso davanti all’immagine della sua stessa fine. La vede arrivare la sua morte.

C’è tutto questo nel biopic di Soderbergh e Del Toro, prima e seconda parte, così ben riuscito, che non si crogiola sull’icona, né vuole essere un manifesto ideologico. Terrence Malick avrebbe dovuto essere il regista de La Guerriglia. Malick ha preferito altro (The New World), ma ha forse lasciato qualche suo appunto vicino nei contenuti a quella che poi traspare come esigenza vera di Del Toro e Soderbergh, ovvero, innescare il tentativo di cancellare dalle magliette l’immagine del ‘Guerrillero Heroico’, come la intitolò il fotografo Alberto Korda dopo lo scatto del 1960.

L’immagine del Che di Soderbergh, interpretata magistralmente da Del Toro, è viva nel dolore fisico e spirituale di un uomo che ha la percezione lenta, inesorabile della sconfitta pur rimanendo eroico. Si rabbuia, poco a poco, il Che di Del Toro, non sorride, parla sempre meno, combatte come può, arranca in un terreno ostile. La gente del popolo non lo vuole, lui è solo uno straniero, e ciò che vorrebbe insegnare della sua idea di libertà, al contadino boliviano non interessa, anzi, gli risulta ostile. Il Che in Bolivia forse non si rese conto di essere divenuto troppo grande fuori, troppo scomodo per i nemici e per gli amici. Così è stata la fine dell’eroe di Cuba. Un campesino di nome Honorato svela il luogo (si dice sia stato costretto) dove le truppe governative preparano l’agguato. La retroguardia del Che è già stata eliminata. Dei 50 guerriglieri, che pure qualche successo hanno ottenuto in precedenza, non resta che un manipolo sperduto, lacero, affamato nei suoi ideali, quelli stessi rifiutati, osteggiati anche dal partito comunista boliviano filosovietico. Il Che viene catturato. Non ha trovato la vittoria, come a Santa Clara di Cuba. Cade nell’imboscata a La Higuera, nella provincia di Vallegrande l’8 ottobre 1967. Il giorno dopo viene liquidato da un sergente delle forze speciali addestrate dagli americani. Gli vengono amputate mani e piedi. Il corpo viene esposto per due giorni e poi sotterrato in un luogo segreto. Verrà scoperto nel 1997 da una missione antropologica. Le spoglie vengono riconsegnate a Cuba e giacciono oggi conservate nel mausoleo che è stato fatto erigere da Castro a Santa Clara, la città della sua ultima vittoria. Di lui resta quell’istantanea di Korda sul biglietto da 3 pesos e un sogno strappato dalla Storia.

“Altri paesi del mondo necessitano dei miei modesti sforzi”, così il Comandante Guevara giustificava il proprio commiato nell’ultima lettera indirizzata a Fidel Castro. Il leader maximo la lesse al popolo cubano il 3 ottobre 1965, proprio quando la gente non si capacitava del perché il Che avesse lasciato Cuba quando stava tentando di dare il via al processo di industrializzazione al quale aveva intensamente collaborato. Il resto è silenzio.

Dario Arpaio


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