Come Dio Comanda

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come-dio-comanda.jpgDopo l’estate del sud giallo abbagliante di Io non ho paura (2003), dopo le fughe nei mormorii del subconscio di Quo Vadis Baby? (2005), Gabriele Salvatores ci porta ora Come Dio comanda in un inverno cupo nel nordest friulano, con vista sul grande fiume Tagliamento nel segno di un confine chiuso tra la vita e la morte. Una pioggia scura orchestra un notturno in una delle più belle e intense sequenze del film ritmato sugli accordi dell’amore forte tra un padre, Rino (Filippo Timi), e un figlio, Cristiano (Alvaro Caleca). Un amore dilapidato nella follia e nella violenza drammaticamente illustrata come rifugio dei vinti, come significasse il presunto riscatto, senza speranza, all’alternativa dell’isolamento nell’emarginazione. Rino nutre l’alibi del suo fallimento di uomo crogiolandosi nel neonazismo più becero, pur percependo nell’amore verso il figlio l’unica salvezza dalla cattiveria di un mondo che si sperpera sotto il vessillo della superficialità dell’apparire. La risposta vera all’indifferenza del mondo Rino non la trova. La sola via di fuga da trasmettere con ostinazione al figlio è il credo della violenza e Cristiano, pur nella sua fragilità, non vuole, non può tradire le aspettative dell’unico vincolo presente nella sua vita già di per sé scontrata nell’adolescenza difficile. Il legame tra i due è intenso, a nessuno è concesso ostacolarlo. Hanno un solo amico, 4-Formaggi, interpretato in maniera straordinaria da Elio Germano. Costui è un demente che vive circondato dai suoi pupazzetti, dalle sue statuine poste nelle casette di cartone a formare una sorta di presepio pagano. Eppoi c’è la donna nella televisione. 4-Formaggi la ama, la abbraccia nel suo delirio masturbatorio. I tre sopravvivono giorno dopo giorno in uno scenario ai limiti, tra cave abbandonate, lungo una strada ferrata senza più treni. Come Dio comanda è una fiaba nera dai risvolti tragici. Mi ha fatto tornare in mente l’episodio padre e figlio inserito da Kurosawa nel suo primo film a colori del 1970, Dodes’ka-den, film bellissmo, costruito con toni accesi per colorare una bidonville surreale. Kurosawa raccontava della follia visionaria di un barbone che arriva a coinvolgere il figlio in un  risvolto tragico, senza speranza, con un senso di vuoto tra le dita. Nel finale di Salvatores, invece, scoppia improvviso un lampo di speranza anche per gli invisibili, uno squarcio tra le nubi per risollevare i perdenti. Il rapporto d’amore tra un padre e un figlio può essere più forte della morte, contro tutto e tutti.
Dario Arpaio

4 commenti su “Come Dio Comanda”
  1. vale95 ha detto:

    è bellissimo!!!
    appena l’ho visto mi sono commossa…

  2. Valerio ha detto:

    hanno rovinato un libro molto bello con un film indecente!!!!

  3. Dario Arpaio ha detto:

    Ma, secondo te, quali sarebbero i punti dove il film è mancato? Io non ho letto il libro che, ovviamente, avrà uno spessore maggiore soprattutto nell’introspezione psicologica dei personaggi. E’sempre molto molto difficoltoso e approssimativo riuscire a trascinare in immagini le emozioni che uno scrittore è in grado di suscitare con la parola scritta. Cinematograficamente, ho visto un grande Elio Germano che si propone, ancora una volta, come uno dei nostri migliori giovani attori. Un’ottima fotografia e una regia drammatica nel montaggio e in alcune sequenze di gran pregio. Insomma a me è piaciuto anche se Salvatores non è per nulla tra i miei autori preferiti.
    ciao
    dario

  4. susanna ha detto:

    E’ solo una tranche de vie raccontata senza nessun soffio d’arte. Si resta proprio terra terra. Gli attori sono bravi ma è proprio il film che non va da nessuna parte. Io sono rimasta indifferente alle vicende peraltro abbastanza inverosimili.Molte ingenuità si alternano in una struttura anche troppo realista,quasi pasoliniana.Quando a metà del film comincio a domandarmi:sì,va bene ma che me ne importa?,vuol dire che qualcosa npn è andato per il verso giusto.


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