Cosmopolis, da De Lillo a Cronenberg
Di Dario ArpaioIl nome del regista canadese David Cronenberg richiama immediatamente alla memoria titoli come La mosca (1986) o Il pasto nudo (1988), Crash (1996) o, più vicino a noi nel tempo, il magnifico La promessa dell’assassino (2005), del quale ricordiamo la straordinaria interpretazione di Viggo Mortensen. La sua regia è sempre stata impregnata di atmosfere cupe da sembrare essere destinata a esaltare una visione nichilista dell’uomo, delle sue scelleratezze o, comunque, dell’impossibilità di vivere serenamente in un equilibrio che appare tanto fragile da essere destinato a crollare, travolto all’improvviso dall’imponderabilità di un fato avverso.
Questa potrebbe anche essere una delle tante chiavi di lettura della poetica di Cronenberg, tali magari da spingere il produttore Paulo Branco a insistere affinchè fosse proprio lui a portare sullo schermo Cosmopolis, da uno dei romanzi di Don De Lillo, pubblicato per la prima volta nel 2003 e, per certi versi, preconizzante alcuni dei temi forti della crisi economica mondiale che stiamo vivendo così drammaticamente. Impresa certamente ardua trasporre cinematograficamente il romanzo di uno tra gli autori contemporanei post-modernisti più complessi.
Il protagonista di Cosmopolis, Eric Packer è un multimiliardario che decide caparbiamente di attraversare la città di New York per andare a farsi tagliare i capelli nel suo vecchio e povero quartiere di origine, dal barbiere amico di suo padre. Se ne sta rinchiuso nella limousine bianca e superattrezzata tecnologicamente per poter continuare a condurre, senza pause alcune, i suoi affari. Ma non è solo business, la limousine è un luogo quasi metafisico, una sorta di acquario inverso, isolato e completamente insonorizzato. Gli offre un punto di vista sulla realtà esterna, sempre più convulsa, demonizzata da episodi di ribellione civile, dalle proteste di chi è vittima di un sistema economico che condanna i più alla misera. Quasi un vaticinio di De Lillo rispetto a ciò che, ai giorni nostri, è stata l’occupazione di Wall Street da parte degli indignados, quelli che rifiutano di essere marionette nelle mani di politici e banchieri.
Packer, nella sua limousine, specula freddamente sulle oscillazioni valutarie. Guadagna decine di milioni o li perde in pochi minuti. Non se ne cura, talmente estesa è la sua fortuna. Ma un pericolo viene avvertito da uno dei suoi bodyguard. Un killer lo starebbe cercando per ucciderlo. Packer non si turba, lui vuole andare dal suo vecchio barbiere e nel frattempo, al riparo della bianca vettura riceve amanti focose, o medici per il consueto check up quotidiano. Dall’ultimo risulterà che la sua prostata è posizionata asimmetricamente. In questa anomalia sta una delle chiavi di lettura del film, ricchissimo di dialoghi forse anche troppo articolati, quasi di matrice teatrale, e che, in parte distolgono da un percorso filmico già di per sé complesso. Packer verrà posto di fronte a una realtà che non può essere controllata dalle analisi matematiche, dagli algoritmi che generano ricchezza. La realtà ha in sé delle imponderabilità celate, delle asimmetrie che possono sconvolgere la geometria di tutto il sistema del neocapitalismo. Quasi dei virus improvvisi e letali che possono comparire e stravolgere i flussi. La ricchezza è solo un’illusione. Packer vorrebbe a tutti i costi acquistare la Cappella Rothkocon le tele di uno dei pittori più quotati in assoluto. Ma perchè volere togliere all’umanità la possibilità di ammirarle? Solo per bramosia di possesso? E se tutto improvvisamente scomparisse, se svanisse, se venisse meno rispetto a com’è ora?
Temi ardui da affrontare sullo schermo, ma che non hanno intimorito Cronenberg che con il suo Cosmopolis è in concorso a Cannes dove ha ricevuto plausi ma anche critiche, forse proprio per l’eccessiva prolissità dei dialoghi. Il film si chiude sulle immagini delle tele di Rothko, essenziali, scabre, dove il significato si asciuga nel colore denso dei rettangoli cari al pittore.
Tra gli interpreti la novità di Robert Pattinson nel ruolo del protagonista, finalmente libero dai panni vampireschi vestiti nella stucchevole saga di Twilight. Intorno a lui ruotano alcuni magnifici cammei, tra i quali quello di una esuberante Juliette Binoche, di un esaltante Mathieu Amalric e, infine, di un superbo Paul Giamatti. Un cast eccellente che fa da corona a questo novello Ulisse, quello secondo James Joyce, che attraversa un non luogo nell’arco di una giornata intrisa della morte di un’epoca.
Dario Arpaio
Commenta o partecipa alla discussione