Detachment, il distacco
Di Dario ArpaioNel 1998 l’inglese Tony Kaye esordisce nella regia con American History X, arrivando a scrutare con il suo crudo e disincantato obbiettivo negli ambienti della sottocultura dei naziskin, portata a simbolo di una certa decadenza dell’America di oggi, vista attraverso il controverso rapporto tra un fratello maggiore e il più piccolo, che ne emulerà tragicamente le pericolose tendenze. Kaye, musicista e pittore affermato, è un artista poliedrico cresciuto in una visone amara del mondo che viviamo e nutre, alimenta questa sorta di fame con la sua nuova regia, Detachment, film presentato al Tribeca Film del 2011 e premiato successivamente in vari festival cinematografici.
Detachment, il distacco, prende il via da una citazione da Lo Straniero di Albert Camus e si chiude sull’incipit de La Caduta della Casa degli Usher di Edgar A. Poe, che lo stesso Adrien Brody nei panni del protagonista, un professore supplente in una disastrata scuola pubblica di periferia, legge davanti al nulla, con voce accorata, disillusa, prigioniera di una visione senza speranza della vita.
Camus altrove, ne Il Rovescio e il Diritto, scriveva pure che “non c’è amore per la vita senza la disperazione di vivere”, citazione secca, inesorabile, che ricalca il tema di quella tratta da Lo Straniero, alla base del ‘distacco’ del protagonista dalla sua stessa vita, la sintetizza, la sublima nell’impossibilità disperata di una corsa affannata verso la sorgente di una felicità sempre vicina, mai raggiunta.
La regia di Kaye compone un mosaico disperato e acido con i vari caratteri del protagonista e dei vinti presenti nel film. La preside della scuola e i suoi professori, ciascuno a suo modo fallendo, sono alle prese, senza successo, con quegli allievi che rappresentano un campione dei ceti poveri della società americana, dove non c’è scampo al degrado perchè solo il denaro può comprare l’istruzione, l’emancipazione, il successo. Temi sfruttatissimi dal cinema. Ma non è questa la sola dimensione del distacco, bensì, sopra tutto, quella dell’inutilità vana di tentare una via diversa da quella che ci appartiene per nascita. La prostituta adolescente, che il professore accoglie in casa per toglierla pietosamente dalla strada, gli rinfaccerà quel degrado che lui stesso non può conoscere. Il passato del professore lo allontana dalla realtà, cela drammi e tragedie che lo tormentano al punto da fargli scegliere la via della sua invisibilità di fronte al mondo, salvo rientrarci con rabbia per accompagnare l’anziano nonno verso la fine.
Kaye ha curato personalmente anche la fotografia, sapiente nel sincopato e drammatico utilizzo del flashback sempre a colori forti, accesi, attraverso immagini sgranate, Kaye chiude ogni sipario sul riscatto dal passato e autorizza il tema del disincanto del professore e della sua sconfitta.
Forse solo questo nichilismo esasperato può essere ritenuto il limite di un film molto molto ben confezionato in ogni dettaglio, esaltato anche dalla superba prova di attore di Adrien Brody.
Dario Arpaio
Commenta o partecipa alla discussione