Elio Germano è il Giovane Favoloso secondo Martone
Di Dario ArpaioLa sua adolescenza è annegata nei 20000 volumi della biblioteca recanatese del padre, il conte Monaldo, rigidamente e disperatamente legato al figlio prediletto. Ed è così che la mente di Giacomo Leopardi si è data a un orizzonte di conoscenza intrepidamente proiettato verso il futuro, quello stesso che sarà negato al suo corpo a soli 39 anni. Mario Martone regista racconta la vita de Il Giovane Favoloso, lo accompagna dall’infanzia alla morte, attraverso immagini raffinate da grande cineasta. Dopo avere ottenuto vasti consensi in teatro con la sua messinscena de Le Operette Morali, acclamata anche a Parigi e a New York, Martone procede nel suo profondo amoroso studio del grande poeta. Con Ippolita di Majo scrive una sceneggiatura drammatica che trasuda il genio e la rabbia del fiore nel deserto. Tale appare il poeta nei 135 minuti di pellicola: un intelletto troppo grande per il suo tempo, finissimo nel comporre versi, e lucido nel leggere le trame della Natura matrigna nei confronti della quale l’essere umano nulla può se non subire. Ed ecco, sequenza dopo sequenza, maturare la figura di Leopardi, prima appaludito poi disarmato e schivato dai suoi stessi ammiratori tanto incauti nel considerarlo solo un infelice nanerottolo impossibilitato ad amare. Martone ci consegna una biografia di Leopardi esaltandolo fino a renderlo favoloso nel suo rimare ogni attimo della vita, figurandola in un agonismo eroico. Altrettanto viene data l’immagine di un giovane teneramente eccitato nel gustare ogni attimo di esistenza, magari davanti alla sua coppa di gelato, o felice e divertito tra la gente dei bassi napoletani.
La Napoli di Martone torna dopo il grande felicissimo esordio nella regia con Morte di un Matematico Napoletano del 1992. I toni crepuscolari di allora vengono accampati per lasciare spazio alla Napoli del primo Ottocento, viva e pulsante, così lontana dal natio borgo selvaggio che ossessionava il giovane Leopardi. Nella città partenopea troverà ancora il dileggio, ma anche la gioia disperata di vivere e il suo pensiero toccherà forse il vertice più alto con il profondissimo canto de La Ginestra.
Martone continua la sua riflessione sull’Ottocento italiano. Dopo il magnifico Noi Credevamo sono ancora i giovani i protagonisti del suo cinema. Prima la macchina da presa su quelli che fecero l’Italia con il sangue e una sconfinata (ingenuamente splendida) passione e ora verso colui che con la sua riflessione e la sua poesia ha espresso un pensiero tanto scevro da ogni positivismo quanto lucidamente ossessionato da un senso di libertà ribelle nei confronti di schemi rigidi e ottusi. Martone guida con passione il nostro occhio e ci porta alla riflessione con malinconico furore.
Il Giovane Favoloso è Elio Germano. Strepitoso, semplicemente strepitoso. Riesce in un’impresa drammaticamente eccellente anche nei dettagli. L’andatura di Elio-Giacomo dapprima eretta, via via si incurva, il suo corpo si accartoccia, i piedi si storcono, tanto quanto il suo canto e il suo pensiero si ergono, si elevano altissimi fino alla cima del Vesuvio, che lo osserva negli ultimi giorni di vita, e lui va oltre. C’è da chiedersi perché solo un piccolo premio all’attore e al suo regista per un film tanto intensamente applaudito al suo esordio al festival di Venezia e appena un riconoscimento alle musiche di Sascha Ring.
Dario Arpaio
Commenta o partecipa alla discussione