The Goob, il ‘western psicologico’ di Guy Mihill
Di Ambra I.The Goob, opera prima dell’inglese Guy Myhill, è a nostro avviso uno dei dieci migliori film presentati a Venezia. Il cinema indipendente britannico, come al solito non delude. Intendiamoci, non è perfetto, ma riesce a lasciare delle emozioni forti negli spettatori.
La pellicola ha toni forti; comincia con scene di gioia tra giovani, ma l’angoscia vi è già presente, così come il dramma interiore dei personaggi. La trama è ambientata nella contea del Norfolk durante dei mesi estivi insolitamente caldi. Goob Taylor è un sedicenne che durante le vacanze aiuta la madre nella gestione di un bar per braccianti agricoli. Ora però la donna ha un nuovo compagno inquietante e tirannico, Gene Womack, e il gioco dei rapporti si complica con gelosie e inversioni di ruoli. La donna è troppo debole, il patrigno è aggressivo, ci prova con tutte le altre donne, i due figli maschi soffrono nel vedere la sua umiliazione. Eppure anche quest’uomo violento è un debole, perché può soltanto farsi amare con la costrizione.
Sono tutti validissimi gli attori, soprattutto il giovanissimo Liam Walpole (per la prima volta davanti alla cinepresa nei panni di Goob) e Sean Harris che interpreta il padre cattivo con una trasformazione totale dalla sua reale personalità. Il film è avaro di dialoghi e ricco di gesti pieni di significato (abbracci di disperazione, giochi e balli liberatori).
Il film sembra rimanere sospeso e irrisolto su alcuni punti dopo averli aperti, ma anche questa è una metafora della difficoltà del vivere e del senso di inadeguatezza. Resta comunque il messaggio di speranza in tutta questa sofferenza: forse Goob ce la farà a scappare e a raggiungere la libertà.
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