Grand Budapest Hotel, nel fascinoso mondo di Wes Anderson
Di Dario ArpaioThe Grand Budapest Hotel , premiato a Berlino con l’Orso d’Argento del gran premio della giuria, è l’ottava regia delle meraviglie firmata dal qurantacinquenne texano Wes Anderson. Dai favolosi Tenenbaum al Treno per il Darjeeling, attraverso Moonrise Kingdom è un tripudio di acquerelli come solo Anderson è capace di tratteggiare, giocando colori tenui di malinconia, schizzati di colta ironia, inventando e rinnovando il suo mondo sempre nuovo popolato dai suoi personaggi sempre uguali.
Opera anche più matura, più formalmente densa rispetto alle precedenti, Grand Budapest Hotel si configura come un omaggio devoto al cinema di Lubitsch, di Mamoulian, di Wyler. Un cinema, lontano un secolo, che non esiste più se non in una delicata nostalgia. Nell’hotel di Anderson il tempo sembra fermarsi anche se destinato poi a soccombere all’avanzata della storia con i suoi venti di guerra e l’imbarbarimento dei costumi. E’ in fondo l’hotel stesso il vero protagonista che con la sua struttura imponente vede scivolare nei suoi corridoi, tra le sue stanze, personaggi amabili, camei perfetti di un tempo che fu. La vita stessa dell’hotel viene narrata attraverso un gioco di scatole cinesi dove un romanziere narra dei fatti riferiti da un protagonista del passato, il quale da fattorino tuttofare viene per così dire adottato da Gustave, un famoso ineffabile concierge. Uomo raffinato, tombeur de femmes ricche e anzianotte, Gustave riceve in eredità un quadro di inestimabile valore da una dama di alto rango, scomparsa in circostanze misteriose. I figli ricorreranno ad ogni mezzo per impedire al portiere del Budapest Hotel di godere di così tanta ricchezza. Il film da commedia sofisticata si trasforma in un thriller ricco di colpi di scena, giocati sul filo di uno humour raffinato, con tanto di inseguimenti alla Ridolini e buffe quanto eleganti trovate. La personalità registica di Anderson è tanto marcata quanto magnificamente impossibile da catalogare. Ogni etichetta sarebbe inopportuna, limitativa per un cineasta davvero unico nel coniugare gli stilemi di un cinema fiabesco, denso di romanticismo ma anche di un inequivocabile senso di sarcastico irridente fastidio nei confronti della realtà del mondo odierno, sporca e cattiva.
Eccellente ogni oltre misura il cast stellare che va da Ralph Fiennes, straordinario nel ruolo di Gustave il concierge a Murray Abraham, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Tom Wilkinson, Willem Dafoe, Mathieu Amalric, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, nonché i collaudati Bill Murray, Edward Norton, Owen Wilson… che dire di più, ogni personaggio compone il prezioso mosaico ideato da Anderson. Ogni tessera incastra perfettamente con le altre. Impossibile fare a meno di una o dell’altra. Un plauso a parte ai due ruoli giovanetti, Tony Revolori nei panni del giovane garzone tuttofare, innamorato di una brava Saoirse Ronan.
Non resta che attendere che Wes Anderson sogni ancora e noi con lui.
Dario Arpaio
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