Grandmasters, il kung fu diventa sublime
Di Dario ArpaioWong Kar Wai ha fortemente voluto il suo Grandmasters, più che un film, un vero e proprio progetto estetico per raccontare, nella sua raffinata regia, le vicende che hanno mutato le arti marziali cinesi, in un epico narrare di ciò che accadde negli anni intercorsi tra il 1936 e il 1953. Il film ha inizio nel momento in cui il vecchio Maestro della Scuola del Nord decide di lasciare la sua carica per un più giovane e degno successore che lui stesso identifica in Ip Man, appartenente alla Scuola del Sud. Durante le forti tensioni secessioniste tra le due grandi regioni, la scelta del Maestro del Nord assume quasi toni eretici, ma il suo successore sarà oltremodo degno e nessuna separazione avrà luogo, non solo, Ip Man esalterà i significati più alti e spirituali delle Arti Marziali, vivendo intensamente, senza compromessi, i temi dell’onore, della fedeltà al Maestro, rinnovando anche le tecniche del Wing Chun, sintetizzandole in quelle tre uniche perfette mosse che saranno poi apprese da colui conosciuto da tutti con il nome di Bruce Lee.
Grandmasters non è il classico biopic e nemmeno interpreta gli stilemi classici del film di Kung Fu. Va oltre. Non ci sono solo epici duelli e combattimenti, dove si riconosce l’impronta di Yuen Wo Ping (Matrix. Kill Bill, La Tigre e il Dragone). Dopo quasi un decennio trascorso tra ricerche storiche e approfondimenti, Kar Wai propone al suo pubblico il senso di un’epica sublime, che si pone anche al fianco di Sergio Leone e del suo meraviglioso C’Era una Volta l’America, addirittura omaggiando il grande regista italiano inserendo il tema del film, nonché alcune citazioni, con una delicatezza senza pari. Sullo sfondo della successione del maestro, Kar Wai sviluppa anche la storia d’amore impossibile tra Ip Man e la figlia del Maestro del Nord, interpretati magistralmente da Tony Leung e la splendida Zhang Ziyi, entrambi attori culto del regista, capace di esaltarne ogni sfumatura recitativa, grazie anche alla superba fotografia di Philippe Le Sourd. I loro duelli, curatissimi in ogni dettaglio stilistico, diventano un tripudio di geometrie raffinate, imperdibili nell’uso dello slo-mo. L’amore tra i due protagonisti sfiora la perfezione, pur nell’impossibilità di viverlo fino in fondo, legati come sono all’obbedienza nei confronti dei vincoli sociali che li legano, li uniscono e li separano inevitabilmente.
Anche le musiche sono davvero emozionanti. Wong Kar Wai lascia scorrere anche le note dello Stabat Mater del nostro Stefano Lentini sopra un cupo notturno combattimento bagnato da una pioggia impietosa. Grandmasters è film raffinato, seducente, imperdibile e non solo per i fan di Wong Kar Wai, ma anche per tutti coloro che magari non hanno avuto il piacere di vedere l’altro splendido film del regista cinese, In The Mood For Love, altro genere, stessa eccellenza narrativa.
Dario Arpaio
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