Il Cattivo Tenente è tra noi

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ili-cattivo-tenente.jpgIl Cattivo Tenente: Ultima Chiamata New Orleans, di Werner Herzog. E su questo non ci deve essere alcun dubbio.

Ovvero, sbaglia chi prova ad accostare questo titolo al precedente (dolente e bellissimo) di Abel Ferrara del ’92. Sbaglia chi lo considera un remake. I due film, pur con lo stesso titolo, pur simili, tratti entrambi da una stessa sceneggiatura (solo in parte), sono distanti e ben diversi l’uno dall’altro. Sono due opere a sé, firmate da due grandi registi, ciascuno con la propria identità riconoscibile fin dai titoli di testa.

Anche la trama è dissimile. Herzog afferma di non aver visto il film di Ferrara. Ha preso in mano lo script è lo ha fatto suo, prepotentemente suo, irrimediabilmente suo, con tutti i rimandi e gli specchi a riflettere la sua poetica di grande artista poliedrico. Peraltro aveva recentemente affermato che non avrebbe più girato lungometraggi per dedicarsi a tempo pieno alla sua grande passione documentaristica.

Encounters at the End of the World è il meraviglioso emblematico titolo del suo recente documentario sulla gente dell’Antartide. Nel 2007, Herzog, con il suo inseparabile operatore Peter Zeitlinger, ha percorso in lungo e in largo quella terra di ghiaccio per filmare la gente che sta ai confini del mondo, intervistando loro, gli ultimi pionieri, che là vivono tra un sogno e una fuga. Ed ecco che, smentendosi, Herzog rispunta al Festival di Venezia, addirittura con due titoli, Il Cattivo Tenente e My Son My Son, quest’ultimo tratto da un fattaccio di cronaca. Un ritorno inatteso e una novità, dal momento che il regista bavarese mai si era cimentato nel noir prima di ora. I

suoi titoli più grandi sono incisi nella memoria di ogni cinefilo, da Woyzeck ad Aguirre, fino a Fitzacarraldo, a Nosferatu, per citarne solo quelli che lo hanno legato alle forti interpretazioni di Klaus Kinski. Ma Herzog non è solo il regista della follia o dei personaggi ultimi alla Kaspar Hauser. Questo Cattivo Tenente è la visione del mondo com’è ora secondo il regista tedesco, come quella New Orleans, dove è ambientato il film, devastata dall’uragano, dove il caos ha preso il sopravvento su di quello che era solo un presunto equilibrato ordine naturale. Gli uomini, come quel cattivo tenente, ne fanno parte fino al delirio. Danzano le loro vite in un vortice. Non c’è male che non possa essere manipolato e trasformato, almeno in apparenza, in bene. Non c’è bene che non abbia in sé il germe del male. Il caos nella devastazione dei valori sono stati stravolti dall’uragano e sono sotto gli sguardi beffardi delle iguane o degli alligatori. Struggente la sequenza dell’alligatore che assiste, nascosto tra il fogliame ai bordi della strada, alla fine del compagno investito da un’auto. Potenti anche le successive ‘apparizioni’ di iguane e di altri rettili che si accostano, per così dire, alle azioni del cattivo tenente.

Lui è Nicolas Cage, come sempre monocorde, poco espressivo (e un po’ noioso). Per Cage attore andare a caccia di tesori o esprimere una depressione, un profondo mal de vivre, o sopravvivere nella malignità, è la stessa frase. Esprime tutto con lo stesso identico tono. A Herzog pare che ciò sia servito per mantenere prorpio un unico timbro, quasi straniato, indifferente davanti alla gioia o al dolore. E, alla fine del film, nulla cambia, nulla muta in questa dolente apocalittica visione dello stato delle cose. Forse Herzog volutamente profila, inaspettatamente, una forma di speranza, di redenzione, attraverso l’attesa di nuova vita, di un bambino che verrà. Ma il cattivo tenente resta cattivo e questo mondo con lui.

Dario Arpaio

1 commento su “Il Cattivo Tenente è tra noi”
  1. giuseppe ha detto:

    ciao dario herzog è un grandissimo regista con klaus kinsky hanno fatto dei bellissimi film


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