Il dio del massacro secondo Polanski
Di Dario ArpaioIl 68° Festival di Venezia regala al grande pubblico una magnifica pièce d’autore, quasi un manuale perfetto in un compendio di regia e di recitazione, Carnage di Roman Polanski, molto apprezzato dalla critica e dal pubblico, salvo poi non ricevere alcun premio dalla giuria.
Lui, Polanski non era presente alle proiezioni, relegato com’è nel suo ormai eterno esilio, al quale il buon senso richiederebbe di mettere la parola fine. Tanti eccellenti personaggi dello spettacolo e della politica hanno già chiesto di lasciar cadere le accuse al tribunale americano, che lo insegue caparbiamente da più di trent’anni, ma pare che tutte le petizioni siano destinate a cadere nel nulla. Polanski intanto continua a firmare film di pregio, da grande grandissimo cineasta. A quasi ottantanni ha nella sua macchina da presa una visione del mondo lucida, spietata, ironica, cinica. Vede la realtà per ciò che è e la porta sullo schermo, insieme con il suo bagaglio di ricordi dell’infanzia in fuga dai nazisti, segnato com’è anche dalla orribile morte della moglie per mano di un folle invasato. Il vecchio regista ha tutto per potere irridere i nostri costumi, il senso del comune agire, l’ipocrisia che regge i rapporti umani. Insieme con Yasmina Reza scrive la sceneggiatura di Carnage, rielaborando il testo teatrale della stessa autrice e ci mette a sedere di fronte ai nostri difetti, alle nostre debolezze, al nostro nulla.
Due coppie di genitori si ritrovano per risolvere la lite dei rispettivi figli, finita con una legnata e due denti rotti. Tutto sembra appianato: uno dei due ragazzi ha colpito l’altro e se ne assume la colpa. Arrivati al chiarimento, i genitori stanno per salutarsi, ma qualcosa di non detto, lentamente lascia emergere un sostrato mal celato di falso perbenismo. Man mano svela sensi di colpa, ripicche, astio, violenza sopita, aggressività repressa, spirito di rivalsa. Il ritmo si fa incalzante. Le battute si susseguono al vetriolo. Via via Polanski ci mostra gli aspetti del più ridicolo becero maschilismo, oppure la frustrazione di chi vorrebbe sentirsi solo un po’ migliore, salvo non fare nulla per cambiare, oppure l’ipocrisia di chi si erge a difensore dei miserabili, ma solo a parole. Il pubblico in sala si diverte. Qualcosa di buffo, di comico si svolge sullo schermo. I quattro litigano tra di loro. I maschi si ritrovano solidali contro le due femmine e viceversa. Il grottesco banale diventa crudeltà. E Polanski se la ride come uno che ha già visto tutto dei rapporti che regolano il nostro mondo, che sa dove vanno a parare i rapporti umani.
Kate Winslet con Christof Waltz da un lato e Jodie Foster con John C. Reilly formano le due coppie e duettano, duellano in un raro esempio di bella recitazione, dando prova di grande capacità attoriale. Riescono a entrare perfettamente nei panni dei personaggi, che poi, a ben vedere, ci assomigliano molto.
Dario Arpaio
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