Il ragazzo d’oro di Pupi Avati

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1E Pupi Avati torna al ‘suo’ cinema con Un Ragazzo d’Oro, anche se non sono pochi i delusi dalla nuova opera del regista emiliano, uno dei migliori cineasti italiani con dignità di firma autoriale. Sono piovute a decine le critiche negative, peraltro scialbe nei contenuti, probabilmente dettate più da quel piccolo malcelato desiderio provincialotto di andare a rimestare tra gli scricchiolii della sceneggiatura piuttosto che inseguire le tracce della vena poetica di Avati. Il suo è un cinema intimista definito su registri amari, a tratti agrodolci, ma certamente non consolatori. Il che può anche disturbare se non addirittura confondere, arrivando a imboccare percorsi interpretativi sconclusionati e non corrispondenti al vero sentire dell’autore che ci ha regalato film come Regalo di Natale (1986), o il più recente Il Papà di Giovanna (2008), giusto per citarne due a caso.

Un Ragazzo d’Oro è magistralmente interpretato da Riccardo Scamarcio, nel ruolo di un giovane figlio che non sente corrisposto il suo amore filiale e arriva a rodere la sua propria vita in una totale mancanza di autostima e di acrimonia nei confronti del padre, pure amando visceralmente il ricordo della figura che lo teneva per mano da bambino, sentendola però lontana, estranea nell’età adulta. Vive un rapporto contrastato con una donna legata a un altro, così come non riesce ad avere successo come autore di novelle. Si nutre di ansie e di psicofarmaci. La sua vita corre piatta fino al giorno in cui il padre scompare all’improvviso in circostanze tragiche e per certi versi inquietanti. Richiamato a Roma per le esequie scopre l’esistenza di una donna misteriosa che gli chiede di rintracciare tra le carte del padre un romanzo incompiuto e di concluderlo per onorare la memoria dell’uomo che lui stesso sente ostile. Il padre apprezzato sceneggiatore di filmacci di serie B, caciaroni e volgari, apparteneva a quel mondo che sopravvive sul nulla, fatto di apparenze e ipocrisie, ulteriore motivo di disistima da parte del giovane. Inizialmente riluttante, a poco a poco il figlio cambia registro e arriva a immedesimarsi totalmente nel padre. In un andante claustrofobico annulla se stesso nella scrittura, ottenendo anche un clamoroso successo con il romanzo che il genitore aveva appena abbozzato, pagando poi a caro prezzo la sua impresa.

Non è nuovo per Pupi Avati l’approccio al rapporto padre-figlio, lui che il genitore lo ha perso a dodici anni. Il film si muove a passo lento nell’introspezione e, parallelamente, tende a graffiare i contorni di un mondo farlocco che pare fondato solo sulla vuota esteriorità e alla fine preferisce imboccare la strada della follia che non quella più opportunista della mera sopravvivenza.2

Molto intenso Scamarcio nel ruolo del figlio. Meno portanti gli altri personaggi interpretati rispettivamente dalla sempre brava Giovanna Ralli nel ruolo della madre e da Cristiana Capotondi nei panni della controversa fidanzata. Assolutamente inconsistente Sharon Stone nel ruolo della misteriosa amante del padre. Irriconoscibile come attrice, appare come una bellissima e distratta turista americana assolutamente incapace di dare un benchè minimo spessore al suo personaggio. Pregevoli le musiche firmate da Raphael Gualazzi.

Dario Arpaio


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