Il Sangue dei Vinti non accontenta

Di

il-sangue-dei-vinti-giampaolo-pansa.jpgIl sangue dei vinti di Michele Soavi è un soggetto basato in parte sull’omonimo libro di Giampaolo Pansa, che ha indagato sulle ragioni e sui crimini perpetrati dopo il 25 aprile del ’45 durante la guerra civile, quella attraversata dal dolore e dalla morte, quale che sia stata la parte in causa. I

l libro è distante dal film, che odora troppo di piccolo schermo, dimostrando anche in questo i suoi limiti. Michele Soavi viene dal cinema horror nostrano con al suo attivo titoli poco conosciuti, Deliria, Phenomena, o come Dellamorte Dellamore, quello con Rupert Everett chiamato a impersonare il detective dell’occulto con un mediocre risultato.

Critici autorevolissimi come Paolo Mereghetti o Maurizio Porro hanno decisamente stroncato Il Sangue dei Vinti, pressocché da tutti i lati. La storia è quella di una famiglia straziata dalla guerra civile: un fratello eroe partigiano muore ucciso per mano della sorella repubblichina, poi catturata dai partigiani. L’altro fratello non riesce a salvarla dall’esecuzione, proprio mentre i due vecchi genitori, innocenti delle accuse di fascismo, muoiono suicidi.

Beniamino Placido è il protagonista che, straniato, insegue disperatamente la ragione nella furia della guerra, senza riuscire ad allontanarla da sé nel tentativo di concentrarsi soltanto nel suo mestiere di poliziotto alle prese con l’omicidio di una prostituta. L’interpretazione di Placido è a tratti gonfia di pathos, altrove quasi distratta, di maniera. Molto concentrata è invece l’interpretazione di Alina Nedelea nei panni della sorella. Passano inosservati tutti gli altri, anche la grande Giovanna Ralli.

Il Sangue dei Vinti è un film poco interessante nonostante la fotografia molto ben calibrata da Gianni Mammolotti. Un film fatto certamente per la televisione, dove credo lo vedremo opportunamente ridotto (o ampliato).

Comunque sia, il richiamo del libro di Pansa rimane, almeno in parte, intatto. Non si può non ammettere che la guerra di liberazione partigiana sia stata anche macchiata da eccidi o vendette che ben poco hanno avuto a che fare con un anelito di libertà. Si può citare Sofocle o chicchessia, ma quando ci si trova a uccidere si è sempre dalla parte di Caino nella violenza omicida, mai da quella della ragione. E’ inutile cercare tracce di revisionismo. Mi domando, ad esempio, come non si possa onorare l’eroismo della Folgore a El Alamein. Non si tratta neppure di richiamare tutti a un qualunquistico ‘volemose bene’. Occorre trovare le ragioni della memoria per superare l’odio, per lasciare in pace i morti, quale che sia stato il loro colore da vivi e, soprattutto, per non ricadere negli errori fatali commessi in passato.

Dario Arpaio


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