Kill Me Please!

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“Un viaggio acido” potrebbe essere una buona definizione del film Kill Me Please di Olias Barco, regista belga, pressoché sconosciuto, che, alla sua prima apparizione sullo schermo, ottiene il Marc’Aurelio d’Oro all’ultimo Festival del Cinema di Roma. Un film cattivo sulla volontà di morte, o meglio sulla incapacità di vivere, sull’inadeguatezza dell’individuo di rapportarsi alla vita odierna, così spenta, così aggressiva nella sua sempre crescente richiesta di affermazione in un successo fatuo. Il tutto raccontato attraverso le vicende di un gruppo di squinternati aspiranti suicidi che si rivolgono alla clinica di un certo dr Kruger per essere da lui condotti all’eutanasia.

Tema arduo, duro, attuale nella richiesta di un’analisi profonda in un raccoglimento della coscienza su se stessa, sul significato del dolore, sulla sconfitta del corpo umano e della sua drammatica fragilità, sulla liceità della richiesta di libertà dell’individuo nello scegliere il momento della propria fine. Barco ne propone una lettura cinicamente divertita, provocatoriamente anarcoide, a tratti esilarante anche quando indugia di un passo su aspetti più propri di un cinema pulp.

La vicenda si snocciola all’interno della clinica svizzera nel bel mezzo di una foresta che la contorna cupa. Là emergono, una dopo l’altra, tutte debolezze e le cialtronate degli aspiranti suicidi e Barco fa ridere colorando tutto con toni acri in un bianconero al vetriolo. Buon film, come ho già detto, acido, ma che porta a riflessioni profonde e lo fa divertendo non lasciando scampo all’ineluttabile che si manifesterà poi all’improvviso, curiosamente buffo, malgrado la volontà di tutti i protagonisti.

Kill Me Please bene si affianca ad altri titoli che abbiamo già applaudito incondizionatamente, Louise e Michel e Mammuth, entrambi firmati dal duo Benoît Delépine e Gustave de Kervern che, ora insieme con Olias Barco, innalzano la bandiera di un cinema  irriverente, anarchico, politicamente scorretto, ma denso di amore e di pietà per questa povera umanità che si ritorce grottescamente su stessa come una bestia ferita in un tempo che pare volere cancellare ogni orizzonte di serenità.

Dario Arpaio


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