La bocca del lupo
Di nicolettaSono i giorni del ritorno del lupo. Quello che torna a popolare le nostre montagne per la gioia di noi amanti del superbo animale. Quello di fantasia, che Benicio Del Toro ha riportato sugli schermi, rispolverando il mito dell’uomo-lupo, incarnazione di un terrore atavico, oscuro. E poi ancora quello del titolo del romanzo verista di Remigio Zena scritto alla fine dell’Ottocento, La bocca del lupo, dove si narra degli ultimi, dei diseredati che vengono trascinati, nonostante i loro sforzi di sopravvivenza, verso un destino che li esclude dalla vita.
Il titolo del romanzo ha ispirato Pietro Marcello, giovane regista napoletano, al quale la fondazione gesuitica San Marcellino di Genova ha commissionato un film che potesse stimolare una maggiore attenzione sugli emarginati ai quali viene dedicata l’opera assistenziale di sostegno e di accoglienza dell’associazione stessa. Un film che proponesse l’intento di una visione dal basso, dal punto di vista degli esclusi dal benessere, dei figli che la vita non riconosce suoi.
Con un bassissimo budget Pietro Marcello è riuscito nell’intento con il film La bocca del lupo, prodotto dalla Indigo di Nicola Giuliano e Francesca Cima, da L’Avventurosa di Dario Zonta e distribuito dalla Bim.
Il film è stato premiato nel corso dell’ultima edizione del Torino Film Festival e ha appena riscosso un forte apprezzamento anche alla Berlinale.
E’ un film ‘diverso’, come lo è l’idea iniziale e la storia narrata. La macchina da presa scivola, corre tra i ‘carruggi’ del centro storico, da via del Campo a via Prè, come fosse stata presa in prestito dalle canzoni di De Andrè e rivestita con un vestito nuovo, delicato, come di carta di riso, ma duro come la crosta del tempo vissuto sempre uguale nella miseria di chi non ha accesso ad altro. E dalla bocca del lupo viene fuori una storia, quella di Enzo e Mary. Lui è un immigrato siciliano, dal volto scolpito dai segni di una vita vissuta per metà in galera, dove per caso incontra lei, un transessuale con il quale nasce un amore ‘bastardo’, capace di riscattarli entrambi nel sogno di una casetta in campagna con un piccolo orto e una finestra dalla quale stare a guardare il mare all’orizzonte.
Tutto intorno alla loro storia, narrata in prima persona, si srotola un album di immagini preziose, sciorinate con grande arte cinematografica. Ne viene fuori un film forte e delicato che non cade mai nello scontato, capace di esprimere con colori vigorosi e chiaroscuri caravaggeschi ciò che non si vede, non si è mai visto o non si vuole vedere.
Pregevole il montaggio di Sara Fgaier che ha avuto il supporto dei videomatori genovesi e dell’archivio dell’Ansaldo. Insieme a loro Pietro Marcello ha potuto creare un’opera pregevolissima, capace di suscitare emozione e incanto.
Sono belli davvero Enzo e Mary in quel loro raccontarsi semplice, immediato e senza pudore, orgogliosi di quell’amore che ha permesso loro di sopravvivere, di vivere, di rinascere, di essere vivi, nonostante il mondo.
Eppoi come non amare Genova? Genova e il suo mare antico e aspro, con l’eco dei versi di Dino Campana, o della poesia di Fabrizio De Andrè.
Dal catalogo della bellissima mostra dedicata da Genova al suo grande poeta cantautore, ci dice lui stesso: “…oggi a me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuti nei suoi ‘carruggi’, gli esclusi…che ho conosciuto per la prima volta nelle riserve della città vecchia, le ‘graziose’ di via del Campo e i balordi che, per mangiare, potrebbero anche dar via la loro madre. I fiori che sbocciano dal letame. I senzadio per i quali chissà che Dio non abbia un piccolo ghetto ben protetto, nel suo paradiso, sempre pronto ad accoglierli…”
Dario Arpaio
Commenta o partecipa alla discussione
Purtroppo non ho visto questo film ma se le emozioni suscitate dalla recensione sono le stesse, penso proprio che non bisogna perdersi questa visione.
Bravo Dario,come sempre!