La Rabbia di Louis Nero
Di Dario ArpaioNel cuore del centro di Torino, lungo la via Po, al numero 21 c’è una sala cinematografica che, appena festeggiato il suo centenario lo scorso anno, si ripropone in una nuova veste e nome, King Kong Microplex.
In un tempo di multisale e megaschermi, KKM propone 35 poltrone, un bar, ristorazione raffinata e tant’altro. Ricordiamo l’avvio dello IAM Festival di musica elettronica e arte che si tiene in questi giorni anche in diversi altri punti della città.
Torino è città mai così (in)cantata come nel film di Louis Nero, La Rabbia, prodotto da L’Altrofilm con un cast di estremo riguardo con Franco Nero, Philippe Leroy, Faye Dunaway, Lou Castel, Tinto Brass, Giorgio Albertazzi, un grande Arnoldo Foà, Hal Yamanouchi. Lo stesso Louis Nero è protagonista nei panni di un regista intellettuale frustato dai continui rifiuti dei produttori che scartano la sua proposta di un soggetto con i soliti vacui dinieghi di chi non coniuga altro che il verbo del denaro. Il giovane disperato non troverà altra soluzione che rapinare una banca. Avrà così il denaro, ma perderà la sua forza creativa e si dedicherà infine alla nuova redditizia attività. La fotografia, il montaggio sono opera dello stesso Louis Nero e mostrano una capacità compositiva assolutamente originale, forte e puntuale nei chiaroscuri a tratti quasi crudeli in quella rabbia che secondo l’autore è motore e fonte di creatività (?). Varie sono le presenze dei grandi maestri come Fellini, Magritte, che aleggiano misteriosi facendo capolino tra le inquadrature, espressi in uno spazio onirico di scatole cinesi. Il risultato complessivo però non è pari alle intenzioni. La recitazione straniata di brechtiana memoria è pesante, sebbene i dialoghi siano intrisi di lirismo e di dramma nonchè di frustate all’industria del cinema che fagocita quella poca poesia oggi superstite. Torino appare e scompare, sempre notturna. Il protagonista si muove nelle sue strade che languidamente lo avvolgono sulle note di Teho Teardo e di Luis Bacalov, autori di musica superba, che magicamente ammalia o percuote.
Insomma, un gran film nei presupposti che si dilapidano in parte in un solipsismo forse un po’ pretenzioso.
Dario Arpaio
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