La recensione di Dario Arpaio: Turner

Di

T (1)Mike Leigh racconta il grande William Turner. Muove la macchina da presa intorno agli ultimi 25 anni del grande pittore romantico inglese, fino alla sua morte, nel 1851, quando la sua vita si chiude con il grido ‘il sole è Dio!’. Il film intitolato semplicemente Turner offre anche la summa della regia di Leigh, oltremodo attenta alla realtà del quotidiano, anche nei minimi dettagli apparentemente insignificanti, capace altresì di penetrare nell’animo dei personaggi, dal protagonista a tutti i comprimari, senza eccezioni. Leigh pretende un lungo e complesso lavoro di preparazione al film, impegnando il cast in un approccio certosino a ciò che –poi- diverrà lo script effettivo. Quando parte il ciak, tutto è preordinato, definito nei minimi dettagli. E l’opera è già compiuta.

La corpulenta figura di Turner, interpretato da Timothy Spall, avvicina l’occhio dello spettatore alla magnifica ossessione del grande pittore nella sua instancabile ricerca del colore nella luce, negli effetti dei raggi ultravioletti, dilatando i volumi che emergono dalla tela creando architetture tali da precorrere quei temi che diverranno cari agli impressionisti, pur con il suo guizzo del pennello unico e inarrivabile, culminante nelle opere quasi astratte dell’ultimo periodo. E Turner non può essere che lui, Timothy Spall, interprete caro a Leigh. A Cannes 64 è stato premiato come Miglior Attore per questa sua magnifica performance fatta di grugniti e bofonchi sordi, di esaltazione delig occhi di fronte alle sue visioni del creato, di disinteresse nonché di anarchico disappunto nei confronti della Royal Academy of Arts nei giochini di potere tra i pari.

Turner offre anche un affresco della vita nell’Inghilterra della prima metà dell’800 come raramente è stato dato di vedere sullo schermo, con la sporcizia delle strade, il lerciume dilagante, i vestiti logori e maleodoranti, ma anche nel nuovo che avanza, impetuoso e magnificamente inarrestabile come gli sbuffi di vapore della locomotiva.

I ruoli femminili sono esaltati dalle interpretazioni della compagna di Leigh, Marion Bailey nei panni di Sophia Booth, ultima e controversa fiamma di Turner; nonché da Dorothy Atkinson nel ruolo della governante del pittore. La prima solida nella sua prorompente solare vitalità; la seconda nella sua muta venerazione del pittore capace peraltro di considerarla poco meno di un oggetto da prendere a piacimento.

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La visone del Turner di Leigh accentua il crescendo artistico del pittore che manipola il colore sulla tela, rendendo materica la sua pennellata, capace di sfrondare il superfluo, lasciando alla luce il dominio assoluto. Leigh indugia sulle mani sporche, sui pennelli strizzati, sugli sputi per diluire il colore. William Turner è vivo nel film del regista inglese, che ne ha firmato anche la sceneggiatura. Encomiabile oltre ogni misura l’apporto della fotografia di Dick Pope, arduo compito puntualmente garantito e che si aggiudica una delle quattro nomination tecniche nell’assegnazione dei prossimi Oscar insieme a costumi, colonna sonora e scenografia.

Dario Arpaio

 


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