La Terra degli Uomini Rossi…e il Tibet?
Di Dario ArpaioTra i film italiani in concorso a Venezia 2008 il lungometraggio La Terra degli Uomini Rossi firmato da Mario Bechis con Claudio Santamaria, è certamente uno dei titoli più interessanti della rassegna (ben pochi a dire il vero). Il regista aveva in mente un’idea vaga e durante un suo viaggio di studio in Brasile ha avuto modo di incontrare il capo Ambrosio Vilhalva della tribù dei Guarani Kaiowà. Il capo Ambrosio gli ha raccontato come sia riuscito a imporre la sua protesta contro gli abusi dei fazenderos, riuscendo a ottenere 1000 ettari di terra per la sua gente. Quella terra che è sempre appartenuta ai Kaiowà dell’etnia Guarani, originari del Mato Grosso al confine con il Paraguay. Lì dove vennero a contatto con i gesuiti per la prima volta nel ‘600 e mai si vollero piegare alle lusinghe dei preti, orgogliosi della propria tradizione religiosa e culturale. Oggi sopravvivono in riserve per lasciare il posto ai fazenderos, i proprietari terrieri che abusano della loro stessa terra in coltivazioni estese (e transgeniche) le quali per essere impiantate causano necessariamente la progressiva devastazione della foresta amazzonica. Da quella distruzione non c’è ritorno. Noi ben poco ne sappiamo. Ancora meno facciamo per arginare questa tragedia che solo in apparenza è lontana, ma si ritorcerà prima o poi contro tutti. Ebbene, Bechis prende spunto dalla storia del capo Ambrosio e costruisce una sceneggiatura che racconta come un gruppo di Kaiowà decide di accamparsi ai limiti di una grande fazenda per rivendicare il diritto di vivere sulla terra degli antenati. Il film è senza dubbio un po’ lento, ma gli va attribuito il gran merito di tentare la via della speranza e della possibilità che gli indios vedano riconosciuti e rispettati i propri sacrosanti diritti. E che ne sarà di loro? Che ne sarà del Tibet? E del Darfur? Cosa potranno poche voci contro lo strapotere del denaro? Dobbiamo procurarci un kalashnikov, tanto non si inceppa mai, e andare a combattere? La tentazione c’è ed è forte, ma contro chi? Bechis, come detto ci propone una via e uno sprone affinché si prenda noi stessi esempio dall’orgoglio dei Guarani che non demordono e, anzi, prendono maggior fiato per la loro protesta proprio dalla distribuzione di questa pellicola in un mondo a loro straniero. Ecco cosa afferma capo Ambrosio in un’intervista apparsa sul sito del Survival Fund e reperibile all’indirizzo del film http://www.birdwatchersfilm.com/news:
“Mi aspetto la demarcazione delle nostre terre. Mi aspetto giustizia per i Guarani-Kaiowá. C’è giustizia – la giustizia dei karai (i bianchi) – solo contro gli indigeni, non a loro favore; quando l’indio va a reclamarla, non viene ascoltato. Le cose principali che mi aspetto sono la terra e la giustizia. Non vogliamo altro. E anche ai Guarani-Kaiowá che verranno, alle prossime generazioni, il film racconterà molto della nostra storia di oggi. Il film è un cammino, come un giorno che nasce, con la luce del sole, per tutti, per tutte le famiglie”.
Per info e aiuti, Guarani Survival Fund: www.guarani-survival.org
Dario Arpaio
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Sarebbe bello che film di questo calibro venissero trasmessi anche dalla televisione, di stato e non, magari al posto del telegiornale. Sono sicura che avrebbero una buona audience e probabilmente si riuscirebbe a fare qualcosa di utile per queste popolazioni. E’ utopia?