La vita vera nei Segreti di Famiglia
Di Dario ArpaioSegreti di famiglia, ovvero Tetro, scritto, diretto e prodotto da Francis Ford Coppola è il canto della maturità di un grande geniale cineasta che dei suoi settantanni d’artista offre la summa poetica che sta ben oltre talune spocchiose critiche apparse su qualche quotidiano, le cui firme bene farebbero ad andare a rivedersi il film (o qualche buon manuale di storia del cinema).
Solo la preziosa rivista I Duellanti di Gianni Canova offre un chiaro approfondimento dei contenuti e degli stilemi espressi in Segreti di famiglia. Il resto della stampa plaude molto timidamente, senza grande emozione; anzi, per Lietta Tornabuoni de La Stampa, di emozione proprio non se ne può parlare per questo intenso film, pur concedendo al regista un certo apprezzamento formale.
Con Segreti di famiglia, Coppola ha voluto ripescare da qualche cassetto uno script vecchio di trentanni arricchendolo della sua ultima traccia artistica e umana, radiografando, scandagliando ciò che dei rapporti e dei legami interni a un nucleo familiare rappresenta la summa dell’individuo nei suoi peccati d’orgoglio, nei fremiti di tenerezza e di passione, nella violenza e nella seduzione che si nutre di tragedia greca, rendendo tutto più forte in un ritmo dilatato che mi ha fatto venire alla mente la perfezione dell’ultimo scritto ungarettiano, quell’Impietrito e il Velluto che adoro profondamente, così ricco di fascinazione per ogni istante di vita.
Solo un bianconero al limite della rarefazione drammatica poteva consentire al direttore della fotografia, Mihai Malamaire jr, di rispondere alle esigenze narrative di Coppola, così come altrettanto aveva già compiutamente dato nel precedente Un’altra giovinezza. Là il volto di Tim Roth esprimeva il dramma di una vita oltre se stessa. In Segreti di famiglia, Vincent Gallo ha scolpito nel viso il dolore lancinante, il travaglio del suo rapporto con un padre tanto ferocemente geniale da schiacciare ogni anelito di affetto filiale. Klaus Maria Brandauer è il padre bulimicamente possessivo, soffocante verso ogni possibile slancio creativo che non sia il suo. Possiede ogni affetto, lo dirige con la sua bacchetta di direttore d’orchestra. Allontana sprezzante il suo stesso fratello, lui pure grande interprete. Elimina ogni possibile altro da sé, per avvolgere con tutto se stesso ogni creatura della famiglia. Il figlio fugge via da tutto, spezzando anche il nome che da Tetrocini rimane solo Tetro, credendo così di potere fuggire, cacciando fuori dalla sua memoria ogni vincolo di famiglia, percorrendo una sua personale non-storia da New York a Buenos Aires. Ma un fratello minore si presenta puntuale nel voler setacciare quella forma di passato mancato, inseguendo il fratello maggiore nella lontana Argentina. Non a caso lo trova lì tra le vie della Boca, il quartiere più vivace e pittoresco, vero nella sua impronta lasciata da antichi genovesi emigrati in quell’angolo di mondo mantenendo vivo e vivace il ricordo della loro città vera. E’ il benessere della famiglia che ogni emigrante cerca di là del cielo; è la possibilità di una vita serena, vera negli affetti più stretti anche se questi stessi generano e sopravvivono nei conflitti, giustificando la continuità stessa della vita oltre la morte.
Francis Ford Coppola è passato dalle stelle alla polvere in più occasioni durante la sua vita d’artista. Oggi è libero di potere scegliere come quando e se esprimere il proprio talento creativo senza più doversi confrontare con le esigenze del botteghino. Può permettersi il lusso di fare, di produrre (a basso costo e con intelligenza artistica e imprenditoriale), di dirigere, anche affiancato dai figli Roman e Sofia (che hanno diretto le unità secondarie del film). E’ un cineasta compiuto, capace di vivere la sua poetica nella maniera più totale. La (splendida) winery nella Napa Valley californiana gli dà quel benessere garante della sua indipendenza artistica. E la riflessione di Coppola torna costante alla famiglia, come nel passato, all’intimo suo cuore. Grande film, Segreti di famiglia, oltre ogni piccola critica quotidiana, la quale, spesso, solo per sopravvivere, propone visioni minime e sghembe.
Dario Arpaio
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