L’altra verità secondo Ken Loach

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Ken Loach è forse uno degli ultimi registi impegnati politicamente a sinistra. Non si ferma la sua osservazione dura e critica della storia dei nostri giorni. La sua lettura l’attraversa, senza sosta, avanti e indietro, percorrendo il ponte che separa quella piccola, privata, da quella con la S maiuscola, mantenendo lo sguardo lucido, senza sentimentalismi, e senza mai cedere nulla al compiacimento.

Dopo il drammatico e possente Il vento che accarezza l’erba, con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 2006, e la commedia Il mio Amico Eric del 2009, torna sullo schermo insieme con l’inseparabile sceneggiatore amico Paul Laverty con L’altra verità (Route Irish), una visione cruda e spietata di ciò che rimane della guerra irachena, attraverso una vicenda di sangue che coinvolge tragicamente le vite di due ‘contractors’. In Iraq ve ne sono ormai più di 100.000, bene addestrati, armati fino a denti e con licenza di uccidere. Accompagnano giornalisti, manager, uomini d’affari attraverso le vie di Bagdad per proteggerli da possibili attentati e ogni loro atto illegale viene protetto dal business.

Fergus, un intenso Mark Womack, non crede alla versione ufficiale sulla morte a Bagdad del grande amico Frankie, quella data dagli organizzatori della società che arruola i contractors per le missioni sui territori di guerra. Indaga, va a fondo sulla vere cause che hanno segnato la fine dell’amico. A ogni velo che si solleva sulla vicenda di sangue, si respira un sempre maggiore tanfo di omertà, di violenza gratuita, di crudeltà, di ostentato razzismo, di cinismo. La sua stessa vita si lacera a poco a poco. Il desiderio di vendetta va oltre ogni limite, gli fa perdere il senso della sua stessa esistenza, ormai ancorata solo a qualche briciola di ricordo dell’infanzia condivisa con l’amico di sempre.

Non c’è vittoria nella sua vendetta, non c’è speranza, non c’è perdono. Ken Loach solo in apparenza si appropria dello stile dei ‘revenge movie’ hollywoodiani. Nel suo film non vincono i buoni, non c’è riscatto nella giustizia finale. Non ci sono più né i buoni, né la giustizia. Solo il male impera e domina in ogni dove.

Il crescendo degli eventi lascia senza fiato, come un cazzotto allo stomaco, non dà tregua, non lascia speranza. Tutto inizia e finisce sulla Route Irish, la strada che unisce l’aeroporto di Bagdad alla Green Zone,  poche centinaia di metri dove la morte è in agguato. A Fergus non resta che una cosa da fare.

Dario Arpaio


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