L’amore ai tempi del colera
Di Dario ArpaioQuando l’amore ti brucia fino alle fondamenta, non vergognarti del tuo dolore, e nemmeno della tua follia o della tua amarezza.
Da qualche parte ho trovato questa citazione da Charles Bukowski. Sembra ricalcare bene il segno di questo L’amore ai tempi del colera distribuito dalla 01 per la regia di Mike Newell (vedi Donnie Brasco con Al Pacino, Harry Potter e il Calice di Fuoco, tanto per citarne qualcuno). Operazione difficile riuscire a ridurre questo romanzo di Gabriel Garcia Marquez senza scadere nel banale o nel polpettone stile feuilleton televisivo. Peraltro negli ultimi anni lo schermo ha già offerto versioni più o meno azzeccate da romanzi di autori latino-americani, sempre con risultati altalenanti, indecisi, a volte impropri. Quanto poco mistero c’era ne La Casa degli Spiriti tratto da Isabel Allende. Grazie a Sonia Braga forse si salva la versione di Donna Flor e i suoi due mariti dal romanzo del grande Jorge Amado. Mentre mediocre fu Cronaca di una morte annunciata del nostro Francesco Rosi pure tratto da Garcia Marquez. Ma veniamo al film e alla storia che si svolge lungo tutto l’arco di una vita, dai sedici ai settanta e più anni. I numeri contano in quest’opera, anzi, per giocare con le parole, direi cantano l’amore per la vita, e lo fanno per cinquantatre anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, tanti ne serviranno a Florentino Ariza (Javier Bardem) per unirsi con Fermina Daza (Giovanna Mezzogiorno). Una follia? Una presa in giro? Perché mai! Marquez è sicuramente un grande autore, forse un po’ troppo idolatrato dalla sinistra. Pochi come Marquez riescono a darci dei ritratti di donne con poche pennellate preziose che giungono a mostrare quell’animo femminile, così misterioso agli occhi di un uomo. Purtroppo questa alchimia sfugge alla narrazione sullo schermo. Solo il rapporto tra l’autore, la sua parola e il lettore può riassumere in sé tutti gli ingredienti necessari per le giuste misure. Eppure Giovanna Mezzogiorno è piacevolissima, i suoi occhi svelano una musica a tratti poco udibile diversamente. Per non dire dell’eclettismo sconfinato di Javier Bardem, in odor di Oscar, forse non per questo film ma per la sua interpretazione del cinico ossessivo killer di No Country for Old Men dei fratelli Coen.
Ne L’amore ai tempi del colera entriamo nella seconda metà dell’800 in quel Caribe fascinoso e ostile, tra guerre civili, epidemie di colera e il progresso che avanza. Cartagena è bella di fronte al suo Oceano. Fermina infine abbraccia Florentino. Lui non ha mai cessato di esserle fedele nella lontananza, pur con le sue oltre seicento amanti, le cui prestazioni vengono puntigliosamente registrate. D’altra parte il nostro cuore ha più stanze di un casino, ci dice il protagonista. Ma l’amore vero non cede, non dubita, non tentenna. Lei lo cercherà per tutta la vita in preda a dubbi e incertezze. Lui non ne avrà mai. Alla fine la sua nave in mezzo al fiume e una bandiera gialla e nera garantiranno loro quella quarantena a cui tutti noi forse aneliamo nel sogno, quel nostro più bel sogno (forse) mai trovato.
Dario Arpaio
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Brutto film,dannifico al romanzo,se fossi Marquez mi incazzerei alla grande!Bardem è un grande attore che riesce a creare la magia con le parole e lo sguardo,Florentino Ariza rivive in lui.Vorrei tanto sapere da Newell perchè proprio la Mezzogiorno..sicuramente alla scuola di teatro nazionale colombiana avrebbe trovato di molto meglio
Complimenti per la scelta della frase di Bukowski, calza a pennello con l’atmosfera emanata dal film che ben interpreta la poesia del romanzo. E molto bravi sia Bardem che Mezzogiorno che ben interpretano il tormento dei due personaggi con i loro gesti ma ancor più con i loro sguardi.
Bardem è ormai da tempo uno dei migliori attori sulla scena mondiale, basterebbe anche solo la sua prova in Mare Dentro…