Lascia perdere, Johnny
Di Dario ArpaioFabrizio Bentivoglio ha praticamente attraversato nella sua carriera quasi tutto il dizionario dei nomi che contano nell’enciclopedia dello spettacolo italiano degli ultimi decenni. Ha iniziato con Strehler al Piccolo, ha lavorato con Scaparro, Patroni Griffi, Enriquez, Scaccia, De Lullo, fino ai nostri vicini di tempo Muccino, Rubini. Pure ha collaborato con la Piccola Orchestra degli Avion Travel. E’ amico dei fratelli Servillo (da non dimenticare l’esperienza de La Guerra Vista dalla Luna di Peppe Servillo del ‘95). Ha vinto qualche David di Donatello e altre onorificenze in Italia e all’estero. Ohi, insomma, Bentivoglio è bravo pur senza fare scalpore, ovvero appare e scompare facendo poco rumore nel gossip nostrano salvo far suonare la critica quando conta. Così se ne è arrivato al Torino Film Festival con questo aggraziato film Lascia Perdere Johnny, sua prima esperienza registica.
Nella seconda metà degli anni ’70 un giovane 17enne chitarrista di provincia sogna e s’illude nella sua ingenuità che tutto il mondo ruoti nel verso giusto, verso i miracoli e la fama. La sua vita a Caserta è quieta. Ma dietro la sontuosa architettura della reggia si muove intorno al ragazzo anche un coro di personaggi come marionette , macchiette balzate fuori con affetto da un album che pare illustrato dal miglior Fellini pur nella personale impronta malinconica del sorriso di Fabrizio Bentivoglio, anche co-sceneggiatore in questa sua prima bella e chiara prova. Dalla provincia del sud si passa infine alla nebbia del nord, da Caserta e Ischia a Rho che appare nella nebbia come una imitazione di Milano, così almeno crede il giovane chitarrista interpretato da un bravo Antimo Merolillo. Tra gag e fanfaronate, si sfogliano le pagine del nostro migliore e schietto passato artistico, con acrobazie leggere nella migliore grande commedia italiana, e vorrei anche azzardare un riconoscimento nascosto al grande Collodi che con il suo Pinocchietto è entrato nell’anima di tutti, almeno una volta. Così nella sequenza di chiusura del film il nostro Johnny scrive una dolce bugia alla mamma affinché quella quiete di provincia non venga ad essere turbata da una realtà che forse a volte è più fredda del gelo. Ma dalla nebbia può spuntare qualcuno inatteso…
Assai piacevole la caratterizzazione del bidello-maestro d’orchestra di Tony Servillo, da non perdere la sua ubriaca follia seppure un po’ sopra le righe. Brava anche Lina Sastri nel ruolo di una madre dolcemente protettiva e presente. Ah, c’era anche Valeria Golino…
Dario Arpaio
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