L’Immagine Mancante di Rithy Panh
Di Dario ArpaioLa casa di distribuzione cinematografica Movies Inspired, dedita con passione alla diffusione del cinema di qualità, presenta in esclusiva uno dei più interessanti e originali film in circolazione, L’Immagine Mancante, del regista cambogiano Rithy Panh, già vincitore per Un Certain Regard al 66° festival di Cannes e designato nella cinquina per il miglior film straniero nella corsa all’Oscar, superato poi da La Grande Bellezza di Sorrentino.
Rithy Panh è fuggito dalla Cambogia all’età di 15 anni. Approdato a Parigi, ne ha fatto la sua patria adottiva, divenendo un apprezzato regista e produttore di documentari dedicati perloppiù a far conoscere le vicende legate al genocidio del popolo cambogiano, e per non dimenticare. Il suo cuore è rimasto a Phnom Penh, a quell’aprile del ‘75, quando ha visto morire il padre, la madre il fratello e le sorelle durante la sanguinosa rivoluzione dei Khmer Rossi di Pol Pot. Rithy Panh, come tutti i ragazzini della sua età, era stato costretto ai lavori nei cosiddetti campi di rieducazione, sopravvivendo a stento alla fame e al durissimo lavoro coatto. Nel 1984 il film di Roland Joffè, Le Urla del Silenzio, aveva già offerto un primo approccio narrativo alle atrocità compiute dai Khmer Rossi. L’Immagine Mancante torna a quei terribili giorni e ne offre un affresco di forte impatto visivo, rafforzato ed esaltato dalla testimonianza diretta e da una tecnica cinematografica innovativa nella commistione di filmati d’epoca e animazione, sorretta da una colonna sonora drammaticamente coinvolgente. Attraverso la costruzione e la messinscena di circa 500 figurine di argilla, Rithy Panh narra la tragedia che hanno visto i suoi occhi, ricercando con accorata lucidità l’immagine dell’infanzia che si affaccia gracilmente alla sua mente di cinquantenne con dolore e sconsolata tenerezza. La voce narrante del suo film ci accompagna nel labirinto di una memoria offuscata da lucide lacrime fredde. Il tempo della primavera è stato cancellato in quell’aprile del 1975. Tutto ciò che era è stato annichilito nelle radici dalla volontà distruttrice della Kampuchea, il partito comunista del cosiddetto ‘fratello numero 1’, Pol Pot. Nulla più è stato concesso agli affetti familiari, né al denaro, né alla vita stessa. L’unico bene personale autorizzato erano una forchetta e una gamella e niente altro. I Khmer Rossi imponevano la visione del loro radicale rinnovamento nella costruzione dell’uomo nuovo. Nulla era autorizzato se non il durissimo lavoro nelle campagne della riabilitazione e della morte per fame. Le figurine di terracotta di Rithy Panh hanno gli occhi fissi sulla tragedia, sono spenti per il ripudio delle origini e della storia. Ogni totalitarismo tenta di cancellare il passato e le radici, ma Rithy Panh è sopravvissuto e ha vinto centellinando la sua poesia con estrema grazia nella profonda ricerca di quell’immagine mancante alla sua memoria di uomo e di cineasta. E proprio quella poesia è più alta di ogni sopraffazione della dignità umana, le sopravvive nell’onda di un eterno ritorno alla vita.
Dario Arpaio
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