Louise Michel

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luoise-e-michel.jpgBenoit Delépine e Gustave Kervern scrivono e dirigono questa gustosissima commedia nera più nera del color dell’anarchia, irriverente, sfrontata e demolitrice di ogni cliché, sacro o no. Tant’è il pubblico in sala ride e se la ride! Così è stato anche al Festival di Roma dello scorso anno, dove il film è stato presentato mietendo approvazioni.

Eppure la trama è terribilmente nera. Le operaie di una fabbrica tessile nella Piccardia si ritrovano raggirate dalla proprietà che, per superare la crisi economica, sbaracca tutto e le lascia con un grembiule nuovo e poche lire. Che fare di fronte alla miseria incombente? Gridare vendetta, cioè assoldare un killer e far fuori il padrone. Se ne occuperà Louise che incontrerà Michel. Balordo lui nella parte di lei, altrettanto lei nella parte di lui… E qui l’intreccio si complica e ci introduce in un mondo sconclusionato ma perfetto, urlato in una sgommata a tutto gas per andare a parare dove tutto viaggia all’inverso, tranne il dolore e la fame che vanno sempre a finire, chissà perché, in casa dei più deboli, degli indifesi, degli ultimi. Diceva Ugo Tognazzi nel bellissimo film di Bevilacqua, Questa specie d’amore: ‘Se nasci disgraziato, beh, ti piove sul culo anche quando sei seduto!’.

La favola dell’anarchia, però, non teme rivali e si fa beffe di tutti, e se i poveri si ribellano, anche la morte se la vedrà storta. Insomma una commedia anarchica, graffiante, sprezzante e molto molto divertente. Bravissimi i due protagonisti, in particolare Yolande Moreau, che con la sua fisicità riempie davvero lo schermo di cinismo, lasciandoci, in fondo, tanta tenerezza. Lui è Bouli Lanners, che dopo il magnifico exploit nella regia con il suo Eldorado Road, si ritrova a far l’attore comico. Bravi davvero nel sostenere il peso di una sceneggiatura non facile da masticare. Puntuale e gradito l’omaggio finale all’eroina anarchica, Louise Michel, che fu tra i grandi protagonisti della Comune di Parigi del ’71. Una delle primissime icone di donna libera, nei suoi abiti maschili, come George Sand, entrambe antesignane del femminismo moderno.

Vedendo il film mi è tornato in mente Daniel Pennac quando attraverso i personaggi della saga di Belleville, monsieur Malaussène in testa, scriveva: ‘Se davvero volete sognare, svegliatevi!’.

Dario Arpaio

4 commenti su “Louise Michel”
  1. ghamoz ha detto:

    Un orrendo film di pessimo gusto.
    Spiegatemi cose c’è da ridere.
    Vi fa ridere una malata terminale che si alza come una bambola rotta per sparare a qualcuno?
    Un trans con le stimmate?
    Allora siete malati.

    fatevi vedere da uno , ma che sia bravo.

  2. Dario Arpaio ha detto:

    grazie per il tuo commento. credo che poi mi farò vedere da 1 o forse 2 o 3 …
    permettimi di ricordarti che non tutto deve per forza piacere, soddisfare, alimentare il nostro ego (scusa, il tuo…) . esiste anche forma d’arte che è pura provocazione, fine a se stessa, e non è detto che debba coinvolgere, piuttosto stravolgere. stravolgere gli schemi, ‘epater le bourgeois’, stupire irritando, infastidire. dal tono del msg credo che tu sia abbastanza giovane per non conoscere le provocazioni della ‘merda d’artista’ alla biennale di qualce decennio fa… e se andiamo indietro nella storia, non dimentichiamo movimenti come dadà, o il surrealismo. restando nell’ambito cinematografico masestri come Bunuel hanno fatto di peggio (dal tuo punto di vista) . sempre tutto proposto per infastidire più che per soddisfare e in questo pare che ‘louise michel’ ci sia riuscito… almeno con qualcuno.
    ciao
    dario

  3. francesco ha detto:

    sinceramente mi ha lasciato perplesso. provocazione va bene, lasciamo pure stare il discorso sul cattivo gusto, ma è troppo comodo riempire un film solo e soltanto di “provocazione” pronti a dare del moralista borghese a chi da queste provocazioni si sente in qualche modo offeso. insomma, graffiante commedia anarchica o minestrone inconcludente in cui trovano posto tutte le tematiche possibili immaginabili: lavoro, morte, malattia, identità di genere, immigrazione (i clandestini verso jersey… ma cosa c’entra…?). al momento propendo per la seconda ipotesi… a mio avviso decisamente pretenziosa e sgangherata. e proprio non si ride. non lo so, avremmo avuto tutti la luna storta in sala, ma non si rideva proprio. sarà che anch’io ho bisogno di uno bravo da cui farmi vedere?

  4. Dario Arpaio ha detto:

    grazie francesco, è sempre stimolante e piacevole confrontarsi soprattutto quando tutti hanno sempre ragione su questioni di fruizione di un oggetto d’arte.(su questo non si discute) Perchè, piaccia o no, emozioni o meno, irriti o soddisfi, sempre di ‘arte’, sempre di ‘fare’ arte si tratta. Dal mio punto di vista personale ho trovato molto più irriverente e grossolano Borat, un film ridanciano, grottesco ma veicolato e basato sul razzismo peggiore da trivio. Era solo intrattenimento? Il cattivo gusto ha un confine oggettivo o ciascuno lo interpreta a modo proprio? Louise Michel potrà senza dubbio non piacere, oppure esaltare come la satira più cattiva, ma il successo di pubblico (almeno oltr’alpe) e di critica lascia uno spazio aperto alla riflessione. Credo che in questo nostro tempo di incertezze si sia un po’ perso il senso della provocazione. Negli anni ’60 nelle cantine romane dove si faceva teatro di avanguardia, gli attori gettavano addosso al pubblico di tutto. Spaccare le chitarre in scena o sputare era addirittura applaudito. Una decina di anni più tardi in Francia si esibivano gruppi teatrali punk che distruggevano a martellate lavatrici e quant’altro. Noi oggi siamo molto più quieti e inquadrati. Purtroppo l’argomento non si può esaurire in poche righe. Mi spiace e me ne scuso. In ogni caso, lasciamo perdere le visite specialistiche che fan più danno che opere di bene…


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