L’Ultima Missione di Olivier Marchal

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Con L’Ultima Missione Olivier Marchal termina la sua personale trilogia dedicata ai flic. Lui stesso poliziotto dell’antiterrorismo a Versailles, è diventato prima attore negli anni ’90 per poi lasciare definitivamente la polizia e arrivare a regalarci due pregevoli ‘polar’ (termine francese derivato dall’unione tra le parole policier e noir) come regista: Gangsters (2002) e, soprattutto il bellissimo 36, Quai d’Orfevres (2004) oltre ad alcune serie televisive di un certo successo oltralpe.

L’Ultima Missione segue il filo di un autentico fatto di cronaca secondo il quale una coppia di coniugi viene brutalmente uccisa nella propria casa dinanzi agli occhi delle due figliolette che, nascoste, assistono alla brutale violenza. Il film inizia allorquando il maniaco omicida (fortemente caratterizzato da Philippe Nahon) viene scarcerato dopo alcuni anni di carcere duro e va in cerca di una delle figlie, divenute ormai adulte. La giovane (una brava Olivia Bonamy) chiede aiuto allo stesso poliziotto che aveva arrestato il maniaco in precedenza. Daniel Auteuil è eccezionale nel ruolo del poliziotto caduto preda dell’alcool e della disperazione dopo aver a sua volta perso la famiglia in un incidente. A causa delle sue intemperanze viene emarginato e gli viene tolta anche l’indagine sulle tracce di un serial killer. Le vicende si intrecciano in una Marsiglia notturna, fotografata egregiamente da Denis Rouden, ben lontana dall’oleografia dei passati noir che hanno visto più volte la città al centro di corse al grisbi.

…Nel romanzo criminale violento e realista all’americana (il noir vero e proprio), l’ordine del diritto non è equo, è transitorio e in contraddizione con se stesso. In altre parole, il male domina storicamente. Il dominio del male è sociale e politico. Il potere sociale e politico è in mano a delinquenti. …

Questo è quanto scrive negli anni ’70 Jean-Patrick Manchette, l’autore che modernizza il romanzo del genere ‘polar’ coniugando l’indagine poliziesca con una visione critica e oscura della realtà . Anche L’Ultima Missione cancella definitivamente ogni romanticismo, nonché la prospettiva del genere poliziesco. Non esiste più la dicotomia tra il buono e il cattivo, né la consolatoria morale hollywoodiana anni ’40 e ’50 che andava ripetendo ‘il crimine non paga’. Il poliziesco è ora cupa violenza e non lascia speranza alcuna se non vaghi accenni a un malinconico straziante abbandono. Olivier Marchal conosce la vita del flic, ed è la sola storia che gli interessa raccontare. Lo fa con tutta la sua disincantata amarezza virile. Sa raccontare anche della lucida disperazione del poliziotto protagonista che non vede più vie d’uscita, che non trova più la giustizia degli uomini. Non gli resta che scegliere di impugnare una Manhurin MR 73 (questo il titolo originale del film), un revolver 6 colpi che spara pallottole 357 magnum, per farla finita con il male o forse addirittura per vendicarsi nei confronti di una divinità che sembra averlo tradito. Ma la vendetta non lascia mai possibilità di riscatto. Il film chiude con un finale in crescendo fino a zoomare sugli occhi del neonato che sembra volerci ricordare, con la sua venuta al mondo, che il miracolo dell’amore per la vita è vero ed è reale.

Dario Arpaio


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