Midnight in Paris, il sogno continua

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Il raffinato tour di Woody Allen attraverso le grandi città europee continua nella composizione di quello che pare sempre più un suo personalissimo mosaico dei sentimenti umani. Dopo Londra, Venezia e Barcellona, eccolo a Parigi e, a breve, tornerà sullo schermo con Roma, dove sta ultimando Nero Fiddled, il suo ultimo film.

Midnight in Paris ha il sapore forte del ritorno di Woody Allen al meglio del suo percorso artistico. Oggi settantacinquenne è, forse, più incline alla tenerezza, senza peraltro perdere quel suo inimitabile raffinato gusto per il graffio ironico nella rappresentazione della commedia umana. Il film inizia con una carrellata di magiche cartoline raffiguranti gli scorci parigini più amati, che si offrono come una tavolozza dalla quale trarre gli ingredienti per un’alchimia che vedrà il protagonista caracollarsi negli anni ’20, suo vero luogo dell’anima. Owen Wilson entra magnificamente nei panni di Gil, autentico alter ego di Allen. Il suo personaggio, da sceneggiatore di film leggeri, banalotti eppure di successo, sogna di ultimare il suo primo grande romanzo e vede in Parigi il luogo ideale per dare corpo alla sua scrittura. Gil è in viaggio di piacere con la fidanzata e i futuri ricchi suoceri, i quali non vedono di buon occhio le stravaganze artistiche del futuro genero, né amano in particolar modo quella città dove, secondo loro, piove sempre e, oltre tutto, ci vivono i francesi. Se non altro Parigi, per quei ricchi americani, è un posto buono per lo shopping e per qualche degustazione di vino eccellente, anche se non quanto quelli californiani. Neanche a dirlo, Gil si scontra spesso con il suocero, dando vita agli esilaranti battibecchi che Allen compone e dirige come una delle sue migliori partiture.

Il protagonista del suo film vive intensamente Parigi, come in un incanto, fino a che non spuntano alcuni vecchi amici della fidanzata, snob pedanti, che il divertito Allen raffigura come tipici rappresentanti di quella America presuntuosa sempre dedita solo alla caccia del successo in tutti i campi, a ogni costo.

Gil invece è un inguaribile sognatore, lui ama quella città che lo ricambia con la più incredibile delle magie, catapultandolo nella Parigi degli anni ’20 a conoscere gli Scott Fitzgerald e le loro spumeggianti feste dove si può incontrare Hemingway. Sarà proprio lui che accompagnerà uno stralunato Gil niente meno che nel salotto di Gertrude Stein, trovandola intenta magari a discutere con Picasso. E via così, notte dopo notte, sfileranno tutti i più grandi artisti del tempo, sulle note delle suadenti melodie di Cole Porter in quella che fu la Parigi più amata. Gil incontrerà anche un giovane stordito Bunuel, al quale accennerà l’idea per quello che poi sarà il tema del film l’Angelo Sterminatore. Si troverà poi davanti a un folle esaltatissimo Dalì, a Matisse e così via, tra improbabili rinoceronti infoiati e coppe di champagne.

Le notti di Gil scivoleranno via così, una dopo l’altra, sotto il segno di una continua migrazione tra una dimensione frizzante e un mogio sempre più incredulo ritorno all’alba, nell’opprimente realtà quotidiana.

Ma un quanto mai grandissimo Allen non indugia nel sentimentalismo. Concluderà, affermando con un sorriso, che, forse, non è una buona prospettiva il rimpianto. Non è il caso di rincorrere nostalgicamente un tempo andato che ci sembra possa essere migliore del nostro presente, perché, in fondo, proprio l’amore è già lì, vicino a noi, a portata di mano e, magari, lo si può incontrare proprio a mezzanotte, a Parigi, passeggiando sul Pont Neuf, incuranti della pioggia.

Superfluo sottolineare la bravura di un cast davvero eccezionale che vede, tra gli altri, Kathy Bates, Rachel McAdams, Adrien Brody, Michael Sheen e un’incantevole Marion Cotillard, nonché un’improbabile Carla Bruni.

Dario Arpaio.


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