Mongol
Di Dario ArpaioGià presentato in anteprima allo festa del cinema di Roma, arriva nelle sale il film Mongol di Sergei Bodrov, candidato alla nomination per l’Oscar 2008 come miglior film straniero. Bodrov ha già vissuto analogo successo nel 1997 con il dolente e sofferto Il Prigioniero del Caucaso.
Mongol è il primo episodio di una trilogia dedicata alle gesta di Gengis Khan, il quale, dopo essere stato considerato terribile per secoli, viene oggi rivalutato, in particolare dagli storici cinesi, che, in un impeto revisionista, lo considerano un eroe quasi mitologico, colto, addirittura raffinato e devoto al taoismo nonostante i milioni di vittime lasciati sul suo cammino. Ma si sa questo per i cinesi conta meno (per i dettagli vedere l’invasione del Tibet dal ’59 a oggi). In ogni caso il presunto taoismo di Gengis Khan parrebbe quanto meno discutibile, dal momento che i mongoli seguono piuttosto una forma di sciamanesimo. Lo stesso Bodrov si è recato dal grande sciamano mongolo per ottenere la sua benedizione prima dell’inizio delle riprese. Ma i cinesi di oggi inseguono tutti i primati, e allora perché non spargere la voce che il capo di uno degli imperi più vasti di tutti i tempi, forse il più grande in assoluto, anche se non proprio cinese ma un po’ taoista lo era? Staremo a vedere in che misura la macchina dello show business americana, sempre attenta al fascino dei potenti, si lascerà sedurre da questa pellicola.
Il film, costato 15 milioni di euro, si presenta con tutti i crismi della spettacolarità. Ben riuscite le scene di battaglia che illustrano le grandi capacità di condottiero di Gengis Khan, il quale, sempre con forze inferiori, è riuscito a prevalere su eserciti assai maggiori di numero. La vicenda narra l’infanzia di Temudzin, il figlio di un Khan (…) di una piccola tribù nomade, come tutti i mongoli. Dopo alterne fortune e disgrazie diventerà lui stesso un Gran Khan, appunto Gengis, ovvero il Sovrano dell’Universo, e per farlo dovrà dare fondo a tutte le sue forze, sorretto anche dalla splendida e ‘forte di gambe’ nonché amatissima moglie (in realtà una delle tante).
Scherzi a parte il film ha vero fascino ed è sapientemente arricchito con un po’ di magia seppure a tratti la sceneggiatura risulta un po’ compressa nel voler utilizzare un po’ troppi salti temporali in una vicenda certo assai articolata.
Bravo il protagonista, il giapponese Tadanobu Asano, assai famoso in patria, che, per i patiti del genere, si può rivedere armato di katana nel dvd del bel film Zatoichi di Takeshi Kitano. Ma ancora di più risulta eccellente la caratterizzazione del fratello di sangue nonché antagonista del nostro, interpretato magnificamente da Sun Honglei (il cattivissimo del film Seven Swords). Bella e brava anche la moglie, l’attrice Khulan Chuluun, che credo essere agli esordi sul grande schermo.
Il film è stato girato nei luoghi originali, dalla Mongolia al Kazhakistan, alla Cina stessa ed è una co-produzione russo-mongol-kazhaka nonché tedesca.
In ogni caso lasciamoci pure un po’ rapire dalla forza di questo bambino che subisce e fugge per essere ripreso, mai domo, sempre pronto a rialzarsi, capace di esprimere una forza d’animo superiore, fino a diventare un capo e a sconfiggere i suoi nemici.
Miti ai quali, forse, non siamo più abituati così coinvolti nel nostro quotidiano spesso sperperato in tanta vacuità.
Dario Arpaio
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Dopo aver letto questa recensione mi son chiesta se questo film potrebbe servire a tutti quei giovani, e non solo giovani, che fanno dell'”apparire” la loro unica ragione di vita, pensando di essere in tal modo protetti e di poter affrontare l’esistenza nascondendosi dietro un vestito alla moda. Chissà che la scoperta di certi personaggi non risvegli in loro il sapore del coraggio di andare sempre avanti basandosi sulle proprie forze e non su qualche oggetto effimero.