My Son, My Son What Have Ye Done!
Di Dario ArpaioIl Museo del Cinema di Torino propone di continuo suggerimenti e rassegne suggestive di grande interesse nella adiacente sala del Cinema Massimo. Oltre a una carrellata dei film di Sergio Leone, appena rimasterizzati, viene programmato in anteprima nazionale, in lingua originale sottotitolata, My son My Son What Have Ye Done di Werner Herzog, presentato a sorpresa all’ultimo Festival di Venezia, dove era in programma anche l’altra pellicola del grande cineasta tedesco: Il cattivo Tenente, con Nicholas Cage protagonista. Per la prima volta in assoluto un regista ha partecipato con due titoli alla rassegna veneziana, per la gioia (o forse no) dei suoi tanti estimatori.
Due film molto diversi tra loro, aventi come unico comune denominatore la mano di Herzog, forte e ben marcata.
Del Cattivo Tenente abbiamo già scritto alla sua uscita nelle sale: …’ è la visione del mondo secondo il regista tedesco, attraverso la New Orleans, dove è ambientato il film, devastata dall’uragano, dove il caos ha preso il sopravvento su ciò che era solo un presunto equilibrato ordine naturale. Gli uomini, come il cattivo tenente, ne fanno parte fino al delirio. Danzano le loro vite in un vortice. Non c’è male che non possa essere manipolato e trasformato, almeno in apparenza, in bene. Non c’è bene che non abbia in sé il germe del male. Il caos nella devastazione dei valori che sono stati stravolti dall’uragano e sono sotto gli sguardi beffardi delle iguane o degli alligatori. Ironicamente struggente la sequenza dell’alligatore che assiste sulle rive del fiume’…
My Son My Son What Have Ye done , ‘figlio mio cosa hai fatto’, è invece frutto di un connubio unico e divertito, quello tra Werner Herzog regista e David Lynch produttore esecutivo. La vicenda si basa su di un fatto di cronaca, un matricidio avvenuto a San Diego, California.
Entriamo subito nella scena del crimine, un detective cerca indizi e via via ricostruisce l’intero accaduto e più ancora, attraverso i racconti in flashback di coloro che hanno conosciuto o frequentato l’omicida. Alla narrazione dal carattere documentaristico, in questo caso vagamente angosciosa, così cara a Herzog, si contrappone il suo interesse per gli ultimi, i perdenti, nel momento in cui precipitano dalla normalità nella loro diversità intraprendendo cammini oscuri, imprevedibili, che possono condurre alla schizofrenia, come nel caso del protagonista del film, o comunque all’alienazione dagli schemi di vita di una società capace solo di fagocitare chi non è forte, o semplicemente non in grado di stare al passo con i ritmi imposti dal sistema. E’ così che nel film il protagonista vive ascoltando la ‘sua’ voce interiore, incontrata tempo addietro in Perù, sulle rive di un torrente in piena, dove era andato per fare del rafting con gli amici. La Natura nel suo mistero è uno degli interessi primari di Herzog e pure in My Son, My Son non mancano le citazioni e i richiami di echi lontani. Altrettanto si può gustare un omaggio a Lynch e alle sue atmosfere, ai colori di vita tanto accesi quanto ambigui.
My Son, My Son non è forse il migliore film del regista tedesco e i suoi tanti fan, che avranno modo di vederlo nelle sale in settembre, probabilmente la penseranno tutti così. Ma il regista non perde mai il suo stile e il suo senso dell’immagine, con un gusto dell’inquadratura inconfondibilmente raffinato, drammatico, dove, alla fine, emerge sempre qualcosa di non detto, di criptico.
Bravi gli interpreti, a cominciare da Michael Shannon, nel ruolo di Brad il protagonista; Chloe Sevigny, nei panni della fidanzata; Udo Kier, il regista di teatro che induce invano Brad a confrontarsi con il mito di Oreste. Infine un cenno a Willem Defoe, il detective, che peraltro dà il meglio di sé in una sorta di prologo, quando racconta al suo compagno di pattuglia di uno spassoso inseguimento. Per il resto tutto nell’ordinario. Ripeto non un gran film, ma imperdibile per i fan di Werner Herzog che vedranno scorrere le interferenze delle immagini di un branco di struzzi, compiaciuti di non essere dei polli; nonché la invadente presenzadi due viziatissimi fenicotteri sulla scena del crimine.
Dario Arpaio
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