Nel mondo delle creature selvagge

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max nel paese delle creature selvaggeMaurice Sendak, oggi ottantenne, pubblicò nel 1963 il suo primo romanzo illustrato Where the Wild Things Are, ottenendo un successo che perdura  intatto. Spike Jonze da quel romanzo ha tratto la sceneggiatura, insieme con Dave Eggars, dal titolo bell’è  pronto di Nel paese delle creature selvagge, in questi giorni nelle nostre sale. La post-produzione ha voluto poi alterare, per presunti motivi legati alla distribuzione, parte del materiale girato, tanto da presentarne un risultato finale, che pare interrotto a tratti, sospeso. Si notano evidenti cadute di ritmo non certo causate da una malaccorta regia. Jonze ha già dato buona prova delle sue doti registiche con l’intrigante Essere John Malkovich del 1999. Suonerebbero quanto meno stonate certe cadute di stile in questa sua nuova opera filmata con puntiglio, con stili e tecniche diverse tra loro per arrivare a concepire un film dai contenuti più vicini possibile alle circa trenta pagine del romanzo di Sendak.

Nel paese delle creature selvagge è la cronaca di un viaggio, di una fuga, di una scoperta e di un ritorno. Tutto nasce dalle paure, dalle rabbie, dalla solitudine, e, infine, dalla gioia di vita di un ragazzo, nella sua voglia di esserci ed essere amato, compreso da quel mondo adulto che respinge chi non è ancora tale. Già, perché quel mondo adulto, in fondo, non accetta nemmeno se stesso, implodendo in crisi di comunicazione che allontanano ognuno da se stesso senza nemmeno un orizzonte da inseguire, senza un sogno da realizzare. I bambini non hanno tutto il mondo nelle loro mani e allora se lo creano, interpretando ciò che i loro occhi vedono dei grandi, costruendola loro visione delle cose; tanto se gli adulti non li lasciano entrare, tanto vale uscire, fuggire, creare, colorare, fantasticare sulla fine del sole, e navigare, perché no, fino al paese delle creature selvagge, che tanto somigliano agli adulti nei loro difetti, tali da renderle gigantesche e buffe, grottesche, a volte tristi un po’, ma perdutamente, disperatamente umane. Tutto è sproporzionato nel paese delle ‘cose’ selvagge, il pianto e il riso, le passioni e la crudeltà. Altrettanto ognuno è fragile, disperatamente fragile nella sua natura. Al piccolo protagonista non vale la finzione di farsi re. Ci sono già i grandi che vivono di simulazioni. In fondo basterà uno sguardo nel cuore per capire che è nel ritorno a casa, alle vere radici, la giusta risposta, il giusto mezzo, la giusta misura dell’amore.

Un film dai contenuti intensi che sarebbe bello poter vedere nella forma integrale, nel director’s cut, che, forse prima o poi uscirà in DVD.

In ogni caso ci sarebbe da riflettere per riuscire a rintracciare in un libretto del ’63 le ragioni di un ritorno. Che cosa è venuto a mancarci oggi da turbarci tanto? Ammesso che qualcosa sia venuto meno, che cosa abbiamo smarrito?

Dario Arpaio


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