Roman Polanski A Film Memoir
Di Dario ArpaioRoman Polanski A Film Memoir è il pregevole documentario, presentato fuori concorso al festival di Cannes, con il quale il produttore Andrew Braunsberg, rende devotissimo omaggio al grande amico di una vita e grandissimo cineasta, così tanto esaltato e bistrattato dai media, come mai altri registi hanno avuto in sorte.
La lunga intervista ha avuto luogo nel 2010, quando ancora Polanski era agli arresti domiciliari ottenuti dopo la grande umiliazione del carcere di massima sicurezza in seguito al tragicomico arresto da parte degli svizzeri avvenuto all’aeroporto di Zurigo. Polanski vi si era recato per ritirare il premio alla carriera destinatogli dal locale festival che gli prometteva un’esperienza “emozionante e stimolante”. Mai invito a una kermesse fu più ridicolmente manipolato.
Polanski si racconta all’amico, ripercorrendo passo passo le tragedie e i successi che hanno costellato la sua vita. La sua infanzia è rimasta segregata, strappata a pezzi dalla furia nazista nel ghetto ebraico di Varsavia. I suoi occhi di bambino hanno visto le più atroci nefandezze. La sua infanzia è stata fatta a brandelli dalla guerra e solo fortuitamente è riuscito a sopravviverle, come racconterà lui stesso con dovizia di particolari corredati da immagini e sequenze dai tratti davvero toccanti.
Mentre Braunsberg incalza con le domande, sul volto di Polanski si alternano le lacrime ai pochi sorrisi velati di grande malinconia. Il viso di uno dei più grandi cineasti del ‘900 è segnato da quanto la sorte gli ha inciso a fuoco nell’animo ed è quasi incredibile che a ogni capitolo disperato che gli è stato dato di vivere, sia non solo sopravvissuto, ma riemerso in una gioia creativa che ha poche analogie o precedenti in altri artisti.
Nel film Il Pianista, pluripremiato nel 2002 con 3 Oscar e poi onorato in tutto il mondo, tanti e tanti sono gli episodi che sfogliano i ricordi di un bambino ebreo polacco. Ed è questo il film per il quale Polanski vorrebbe essere ricordato. Tutto la sua filmografia è costellata di titoli di pregio o di grande interesse, a partire da Per favore non mordermi sul collo, che gli aprì le porte del successo nel 1967, per poi superarsi subito dopo, nel 1968, con Rosemary’s Baby. Quello fu anche l’anno della tragedia che vide la selvaggia uccisione della moglie Sharon Tate incinta di otto mesi. Polanski non voleva figli, stava vivendo con la moglie un periodo di grande serenità, ma il ricordo della madre strappatagli da una camera a gas ad Auschwitz mentre era in attesa di un altro figlio, era una cicatrice troppo penosa per lasciare sbocciare nell’animo una qualche forma di speranza.
L’intervista scivola via con i titoli e le immagini dei suoi film migliori. Ne ricordiamo solo qualcuno, Macbeth, L’inquilino del terzo pian, Chinatown, La nona porta… e Polanski ritrova ancora gioia nel raccontare il primo incontro con la sua nuova moglie, l’attrice Emmanuelle Seigner, conosciuta sul set di Frantic del 1988. E la vita gli riappare negli occhi con una luce. A lei deve molto.
Ma è ancora il senso della persecuzione ad essere tema del documentario. Quella iniziata in seguito ai fatti del 1977, quando venne arrestato per abuso di stupefacenti e atti di violenza sessuale su una minorenne. Allora Polanski ammise subito la sua colpa, ma un giudice corrotto diede il via a quella che, al di là di una giusta pena da comminare a un colpevole reo confesso, divenne una sorta di caccia alle streghe, a causa della quale ancora oggi subisce le conseguenze anche la ragazzina vittima. Il circo mediatico sa essere carnefice spietato nella caccia alla notizia, allo scoop. E dopo 35 anni le ferite non sono ancora rimarginate, né da una parte, né dall’altra.
A Film Memoir ci lascia entrare nell’intimità di un regista, ci aiuta forse anche a comprendere meglio la sua arte sempre in bilico tra commedia e tragedia, come nel miglior Beckett, dove la vita, assume i tratti di un assurdo e impietoso gioco degli dei, al quale questo piccolo uomo si è opposto con una tenacia davvero senza pari regalandoci di sé un’arte sopraffina.
Dario Arpaio
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