I sogni segreti di Walter Mitty, come in un racconto di Natale

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images (2)E’ tempo di festa. Piove a dirotto. Che altro fare se non andare al cinema e liberare la nostra fantasia altrimenti oppressa dal ridicolo shopping natalizio-a-tutti-i-costi. Spulciando l’elenco con i programmi degli spettacoli, due sono i titoli che possono meritare attenzione e suscitare curiosità: Still Life di Uberto Pasolini, delizioso, drammaticamente tenero, danzato tra la solitudine e il bisogno di amare, in sintesi un bel film di un regista italiano dotato di grazia e raffinato tocco. L’altro è I sogni segreti di Walter Mitty di Ben Stiller regista e interprete.

La sceneggiatura del film di Stiller è firmata da Steve Conrad (di lui ricordiamo La ricerca della Felicità per la regia del nostro Muccino, con Will Smith). Conrad ha rielaborato per Stiller La Vita Segreta di Walter Mitty, un racconto breve scritto nel ’39 da James Thurber, disegnatore satirico, famoso per le sue vignette pubblicate quotidianamente su The New Yorker, dove ha lavorato per più di vent’anni. Dalle divertenti paginette di Thurber, nel ’47, venne tratto il soggetto per un primo film basato sulla storiella di Walter Mitty, Sogni Proibiti, regia di Norman McLeod, con Danny Kaye nei panni di un marito oppresso da una moglie dispotica, il quale trova rifugio dalle prepotenze della consorte fuggendo nelle sue fantasie a occhi aperti, dove cavalca, spara, combinandone di tutti i colori, vivendo improbabili eroiche gesta. Thurber a sua volta prese le distanze dal film che aveva stravolto il suo tocco umoristico per esaltare solo le capacità di guitto del grande Danny Kaye, indimenticato comico, cantante e ballerino.

Con Ben Stiller si cambia ancora per alimentare un suo personale progetto di cineasta con un film capace di offrire, non senza una certa qual raffinatezza e buon gusto, più di una chiave di lettura. Si va dalla commedia divertente, leggera e a lieto fine, a una certa nostalgia –nemmeno troppo velata- per un mondo antico dove il digitale non aveva ancora soppiantato l’analogico, quando, forse tutto era più reale, anche i sogni e le vie per renderli magari più veri della realtà stessa. Forse seguendo questo fil rouge si può intravedere anche un piccolo devoto omaggio in una fugace immagine che appare sullo sfondo di una scena dove giganteggia un poster con il volto di Peter Sellers. In qualche misura con il Walter Mitty di Stiller torna alla mente anche l’indimenticabile candore di Chance Giardiniere il personaggio protagonista di Oltre il Giardino, ultima magistrale interpretazione di Sellers.

Ebbene, Mitty è un ometto quieto, ordinario e ordinato. Qualità che gli permettono di svolgere al meglio il suo lavoro di archivista della smisurata raccolta di immagini su pellicola della rivista Life, giunta sul viale del tramonto dopo decenni di copertine straordinarie. Mitty lavora sui meravigliosi negativi dei più grandi fotografi al punto che riesce a vivere la sua vita solo attraverso le fantasie che lo incantano, che lo distaccano dalla quotidianità spesso così meschina. Ed è la ricerca di uno di quegli scatti, un negativo in pellicola Kodak, come –ahimè- non se ne fanno e non se ne vedranno più, che nasce, per il timido Mitty innamorato, l’occasione per vivere la sua grande avventura di vita attraversando ghiacciai, vulcani, e mari in tempesta. Tutto per scovare quell’unico ultimo incredibile scatto, l’immagine perfetta della ‘quintessenza’ della vita stessa.

Bravo davvero Ben Stiller nel trovare la giusta formula per coniugare spettacolo, divertimento, effetti speciali e sentimento, senza mai scadere nel banale o nel già visto. Apprezzabile anche l’ottima scelta dell’esecuzione del magnifico brano Space Oddity di David Bovie, che darà il via a Mitty e alla sua impresa.

Qui è Maggiore Tom a Torre di Controllo,
Sto uscendo dalla porta
(della navicella spaziale)
E sto galleggiando nello spazio
ed è tutto così strano.
Le stelle sembrano così diverse oggi.

Sto seduto in un barattolo di latta,
Lontano sopra il mondo,
La Terra è blu
e non c’è niente che io possa fare.

Non dimentichiamo però anche quel disegnatore satirico del New Yorker, quel Thurber dalla matita e dalla penna che già nel ‘39 sapevano…

Dario Arpaio


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