Spike Lee e il Miracolo a Sant’Anna

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spike-lee.jpgIo vado al cinema. Sono un cinefilo, non mi interessano le polemiche che tirano a un mulino o a quell’altro. Fanno perdere di vista l’oggetto dell’arte. Non servono se non all’eloquio-sproloquio della vanità personale. Non mi interessa se Spike Lee ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal sindaco di Sant’Anna di Stazzema. Mi interessa Miracolo a Sant’Anna, l’opera filmica di un grande regista. I riferimenti alla tragedia inumana, che costò la vita a 560 innocenti trucidati dai nazisti, sono puramente letterari e non storici. Chi esclude questo dato di fatto acclarato, preclude la possibilità di una visione equilibrata nei confronti di quello che risulta essere un bellissimo film, nel montaggio, nella fotografia, nella recitazione di tutti gli attori. In particolare vorrei citare la bella prova del ‘gruppo degli italiani’, da Omero Antonutti a Favino, alla Cervi … Questo sì, mi ha interessato, commosso, coinvolto dalla mano di Spike Lee che lievemente, ma con fermezza, ruota il suo caleidoscopio intorno ai sentimenti primi, quelli veri, nei confronti dei quali nessuna guerra può avere dominio fino in fondo. La guerra è solo atrocità. Tutti coloro che vi prendono parte alimentano la ferocia della bestia. Non ci sono bandiere senza sangue.
La trama, legata in parte a un episodio della II Guerra, è ormai nota: durante l’avanzata degli americani in Toscana quattro Buffalo Soldiers della 92ma si smarriscono tra le colline intorno al Serchio. Uno in particolare, un gigante nero un po’ ritardato, si prende cura di un bambino ferito e così via, in un accavallarsi di passioni, di tragedia, di tradimenti fino alla magia dei piccoli tocchi sulla spalla, innocenti, ma tanto potenti da cancellare l’orrore dagli occhi di un bambino. Certo, il cuore non dimentica, impossibile distaccarsi dal dolore. Primo Levi lo ha drammaticamente testimoniato con i suoi scritti e tutta la sua vita.
Ma torniamo al film. Per onor di cronaca bisogna dire che i Buffalo Soldiers vennero chiamati così dagli indiani cheyenne alla fine dell’800. Gli indiani, da grandi guerrieri quali erano, non potevano non ammirare la potenza d’urto di quei reparti di cavalleria così simile alle cariche dei bisonti. Senza saperlo, battezzarono il primo reggimento tutto di neri che rimase tale di guerra in guerra, fino a essere anche un po’ strumentalizzato da quell’America razzista e puritana che non aveva abbastanza carne bianca da mandare al fronte. Per non dimenticare poi Bob Marley che li cantò in un pezzo a loro dedicato. Spike Lee da sempre si batte contro il razzismo, con tutte le sue forze. Le stesse che alla fine gli hanno permesso di trovare i finanziamenti per girare il suo film, operazione non sempre facile, per lui in particolare. E anche quella del razzismo è una bestia difficile da affrontare, da domare. E’ lì davanti a noi, non solo nell’americana terra dell’abbondanza, ma ovunque, soprattutto nelle nostre case.

Dario Arpaio

1 commento su “Spike Lee e il Miracolo a Sant’Anna”
  1. Guendalina Borgia ha detto:

    E’ triste, ma altrettanto necessario, parlare oggi delle nefandezze compiute durante la 2° Guerra Mondiale. Ma penso che sia ancora più tragico ai tempi nostri dover ancora combattere una piaga della nostra società come il razzismo: una bestia, per dirla come il nostro recensore, che, nonostante tutti gli sforzi compiuti e le vite distrutte, sta diventando sempre più forte perchè si è insinuata fra la gente in modo subdolo, scatenando gli istinti più disumani non solo fra bianchi e neri ma anche fra le genti dello stesso colore della pelle diversi per altri motivi. L’unica cosa che posso sperare è che il messaggio lanciato da Spike Lee sia abbastanza forte come negli altri suoi film in modo tale che scuota la gente e l’aiuti a riflettere e, soprattutto, ad agire.


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