Tatanka, il tuono nel pugno
Di Dario ArpaioLa palestra di pugilato Excelsior a Marcianise è luogo di culto per il nostro sport. E’ stata, ed è, fucina di campioni della ‘nobile arte’. Soprattutto è frutto dell’impegno del maestro Mimmo Brillantino che, con la sua caparbia tenacia, forgia boxeur, ma prima di tutto, uomini. Quegli stessi che da ragazzi a volte ne varcano la soglia con la speranza di poter avere una scelta, di riuscire a trovare una via per affrancarsi dall’unica alternativa di vita offerta loro da una terra proprietà assoluta della camorra.
Roberto Saviano si batte da anni con la sua penna per denunciare, raccontando quella vita come è: una condizione dalla quale è difficile sfuggire, dove è più facile trovarsi fagocitati dal miraggio dei soldi facili, dove il lavoro pulito manca, per volere o per forza. Là dove anche il potere politico, spesso, è connivente con la malavita e dove lo stato omertoso sembra essere più forte dello Stato di diritto. Ma non tutti si piegano. La volontà di libertà, di riscatto è capace di germinare, anche in mezzo alle pietre e quella palestra, l’Excelsior, è un grande esempio, un punto di riferimento per chi cerca una via d’uscita, non facile, fatta solo di sudore e di grande sacrificio.
Da un racconto di Saviano, tratto dal libro La Bellezza e l’Inferno, premiato con l’European Book Prize come miglior libro del 2010, il regista Giuseppe Gagliardi firma Tatanka, storia di boxe, frutto di una sceneggiatura scritta a più mani, che ha potuto avvalersi della interpretazione di un vero grande campione come Clemente Russo, portabandiera e gloria del nostro pugilato. Da sempre il cinema è affascinato dalle storie, vere o presunte, dei grandi miti della boxe, ma mai un vero pugile aveva calzato i guantoni sullo schermo, mostrando incontri così vicini al vero.
Tatanka è il nome con il quale gli indiani Lakota Sioux indicano il bisonte maschio, quello che carica l’avversario a testa bassa, incurante di ogni altro ostacolo, così come fa il protagonista del film, capace di incassare e incassare ancora, colpo su colpo, per poi abbassare il mento fin quasi al petto, occhi fissi sul bersaglio, e scaricargli addosso il suo destro micidiale. Così combatte ed è soprannominato anche Clemente Russo, al quale Saviano si è ispirato per il suo racconto.
Il film narra di due ragazzi, amici fraterni, che rubacchiano, fino a quando uno dei due viene notato da un allenatore di boxe e per lui si apre una porta diversa da quella della guapperia. Ma i pugni non bastano e gli incontri ‘puliti’ sono un traguardo quasi impossibile. La storia si incattivisce e per il giovane boxeur c’è solo la fuga all’estero quando sceglie di non piegarsi ai voleri dei boss che lo vogliono perdente sulle scommesse. Solo chi cade può risorgere e così sarà anche per Tatanka.
La regia di Gagliardi è pulita, scorrevole, calcata sulle tracce dell’impianto di Gomorra, quasi ne fosse un’appendice ideale. Un sogno neorealista, ancora più teso grazie a una fotografia di forti contrasti. Clemente Russo non fatica a impersonare un personaggio che gli è vicino, almeno in parte. Anche lui viene da quel Sud impossibile. Anche lui ha dovuto imparare la fatica immane di uno sport dove vince l’uomo, da solo, quello che sa di dovere perdere e rialzarsi ogni volta per arrivare alla vittoria, prima di tutto su se stesso, sotto il segno dell’onore e della gloria.
Dario Arpaio
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