Terraferma di Crialese mentre Olmi tuona

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L’avvio del 68° Festival di Venezia è stato segnato da una visione cinica delle cose del mondo, quasi senza speranza (Ruggine, Idi di Marzo, lo splendido Carnage). Nei giorni successivi sono poi stati proposti titoli inneggianti alla pietà e alla compassione, due tra i più forti e assoluti sentimenti che l’uomo possa e debba manifestare, testimoniare per esaltare la propria dignità nella sua stessa essenza.

Il Festival ha presentato, in gara per il Leone, il film di Emanuele Crialese, Terraferma, e, fuori concorso, la nuova opera del maestro Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone. Entrambi danno voce, in maniera forte e in parte provocatoria, alla ricerca, alla scoperta, all’esaltazione poetica delle radici stesse della pietà, nell’accezione più alta che si possa attribuire al termine, ovvero, nel confronto verso colui che è diverso da noi.

Olmi, che da sempre è personaggio schivo, arriva a tuonare, a scuotere le nostre coscienze, affermando di essere disposto ad aiutare, a sorreggere chi ha bisogno, anche a costo di andare contro la Legge. Inginocchiamoci davanti agli immigrati! Sono loro il vero volto del Cristo. Troppo facile genuflettersi davanti a immagini di cartone nelle chiese, senza poi avere la volontà di spalancare le porte della propria casa per accogliere il diverso. Questo, in sintesi, il suo messaggio, lanciato con voce ferma e serena dai microfoni della conferenza stampa. Dovrebbe fare riflettere molto questa sua netta presa di posizione, questa sua esortazione agli stessi cattolici, che giunge in un momento così maledettamente complesso della vita del nostro Paese, lasciato quasi da solo dalla comunità europea ad affrontare il dramma dell’immigrazione clandestina.

Crialese, invece, torna al ‘suo’ mare origine di vita, alle sue leggi immutabili, nonostante l’uomo. Nella piccola isola dove è ambientato il film Terraferma, i vecchi ricordano come bastasse calare le reti per essere ripagati di frutti, mentre i giovani sanno che oggi solo l’invadente turismo caciarone è in grado di portare quel minimo di sostegno per tirare avanti.

Il fondo del mare è costretto, ormai, al poco pesce, mentre viene aggredito dalle cianfrusaglie perse o gettate dai turisti. I vecchi non abbandoneranno mai chi è bisognoso di aiuto, anche se le leggi dello Stato arrivano a perseguire chi dia soccorso alla gente che arriva dal mare. In mare ci si aiuta in nome di una fratellanza non scritta, tramandata in nome della vita. Così Ernesto, vecchio di una famiglia di pescatori, non ci pensa due volte ad accogliere alcuni naufraghi, tra i quali una donna incinta. La nasconde in casa sua, mentre gli altri fuggono. Ne pagherà le conseguenze. La finanza gli confischerà la barca. Il figlio lo dileggerà, dedicandosi ai turisti e al loro benessere tragicomico. La nuora, giovane vedova, cercherà di indurlo a vendere tutto, oramai dal mare non può venire nulla più. Bisogna andare a cercare in terraferma ciò che l’isola non può più dare. Il figlio di lei si trova in mezzo, tra lo zio che gli offre il paese dei balocchi, e il nonno, con la sua saggezza depositaria di un germe sano di libertà, contro ogni tirannia, contro leggi che nulla sanno della vita vera. Il mare pare osservare tutto con distacco, con la potenza della sua immutabilità nel succedersi delle onde. La donna nera nel frattempo partorisce e il miracolo della vita saprà tramutare anche la paura ostile della nuora in affettuosa e commossa solidarietà. Alla fine il ragazzo arriverà a prendere la giusta decisione, sorretto e sostenuto da quel mare, che tutto vede e tutto sa.

Crialese ha saputo offrire una buona prova davvero, forte e toccante. Sinceramente, ci auguriamo che possa godere anche del plauso della giuria. Lui se lo merita certo e noi, dal canto nostro, dovremmo invece riflettere e guardarci dentro, fino in fondo, come ci sprona a fare Olmi.

Dario Arpaio


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